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L’Europa finanzia 58 scienziati italiani, ma la metà è all’estero (e solo 2 al Sud)
11 Gen 2022 17:26

Fondi europei per la ricerca a 58 giovani scienziati italiani ma solo 28 di questi sono ospitati da istituzioni italiane. Un caso emblematico che riflette le difficoltà dei centri di ricerca italiani nell’attirare ed ospitare progetti innovativi.

Horizon Europe, 58 su 397 ricercatori sono italiani

E pensare che prima dell’Italia c’è soltanto la Germania per numero di ricercatori. Sono infatti 67 i tedeschi vincitori di borsa di studio, gli unici davanti agli italiani. Seguono francesi (44) e olandesi (27). Circa un progetto scelto ogni 10, come riporta il Sole24Ore, 397 su 4000, per un budget totale di 619 milioni di euro. Ogni nuovo ricercatore grazie ad Horizon Europe dell’European research center avrà perciò 1,5 milioni per i prossimi 5 anni.

Le menti italiane, di fatto, ci sono. Il problema resta allora la scarsa attrattiva degli enti e le università della penisola. Così da seconda in graduatoria l’Italia scende in sesta posizione a pari merito con la Svizzera, perdendo la fiducia dei ragazzi di talento a favore di Germania (72), Francia (53), Regno Unito (46) e Olanda (44). Unico faro di speranza la maggiore percentuale di ricercatrici: dalle 37% del 2020 si è passati al 43%.

Perché bisognerebbe fare di meglio

Seppure mantenere un’ottica di progresso comunitario sia comunque auspicabile, in nome del concetto di crescita dell’intero continente, dall’altro lato vi è un motivo per cui più enti dovrebbero cercare di attirare questo tipo di starting grant. Si è infatti calcolato che grazie a questi finanziamenti saranno creati 2000 posti di lavoro per ricercatori e staff. Attorno ad ogni progetto di ricerca, quindi, non gravita solo una mente, ma cinque. Cinque giovani che danno fiducia all’istruzione superiore italiana, oltre che europea, e che riescono a realizzare le proprie ambizioni e a progredire nella loro carriera pur rimanendo a casa propria.

I due progetti di successo nelle università del Sud Italia

I 28 progetti “rimasti” in Italia saranno distribuiti su 27 università e centri di ricerca. Tra questi soltanto due si trovano in Sud Italia, confermando che le università ed i centri di ricerca del centro-nord riescono a ricevere maggiore interesse e, forse, informare meglio i giovani in merito a questo genere di opportunità.

Flaviana Di Lorenzo sarà ospitata dall’università di Napoli Federico II nel corso della sua ricerca su “Deciphering and Exploiting the chemical features of Silent Lipopolysaccharides: a gift from gut microbiota”. Il progetto della biologa campana verterà sullo studio dei lipopolisaccaridi “silenti”, con particolare riguardo al microbiota intestinale umano.

Al Politecnico di Bari, invece, opererà Antonio Papangelo, nell’ambito del progetto di studio “Towards Future Interfaces with Tuneable Adhesion by Dynamic Excitation”. Un ingegnere meccanico, Papangelo da anni si occupa di studiare i processi di adesione, frizione ed altri processi meccanici.

Le regole per il successo dell’Italia che fa ricerca

Se gli atenei italiani si trovano in difficoltà nel finanziare ricerca interna, quantomeno potrebbero agire per rendere più “appetibile” l’idea di partecipare a questo tipo di selezioni. Idea che sembra aver funzionato è quella della Sapienza, che ha creato degli incentivi per i principal investigators scelti da Unione Europea o Mur. Questi giovani avranno infatti la possibilità di ricevere ulteriori finanziamenti interni, utilizzare spazi di laboratorio, ma soprattutto poter attivare la chiamata diretta per la copertura di posti di professore e ricercatore a tempo determinato.

Come ha fatto notare la presidentessa dell’European Research Council, Maria Leptin, “Permettere ai giovani talenti prosperino in Europa seguano le proprie idee più innovative è il nostro migliore investimento nel futuro, soprattutto in vista della sempre crescente competizione globale”. E ha puntualizzato “Alcuni di questi [ricercatori] torneranno dall’estero, grazie ai grant dell’ERC, per fare scienza in Europa. Dobbiamo continuare ad assicurarci che l’Europa rimanga una potenza in ambito scientifico”. E, forse, riuscire andare di pari passo con l’innovazione che ricerchiamo.


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