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Vi spiego perché il Sud non riesce a spendere i fondi europei
10 Mar 2015 08:10

L’Italia fa registrare notevoli ritardi nella spesa dei fondi strutturali europei.

La figura 1, tratta dal recente Sesto Rapporto sulla Coesione della Commissione Europea, mostra che al maggio 2014 l’Italia era quart’ultima su 27 Stati membri nel “tasso di assorbimento”, cioè nella percentuale di spesa delle risorse disponibili per il 2007-13. La stessa figura mostra invece che quanto a “project selection rate”, cioè alla capacità di definire gli impegni (giuridicamente vincolanti) per l’utilizzo dei fondi, l’Italia si colloca, verso la fine del ciclo di programmazione, su valori simili alla media.

Figura  1  –  Absorption  of  funding  and  project  selection  by  Member  State  for  the  2007-2013 programming period

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Fonte: Commissione Europea (2014)

Va subito chiarito come i ritardi nella spesa nulla dicano circa la qualità degli interventi.

Il dibattito in Italia su questi temi è assai confuso e approssimativo; spesso è basato sull’equazione ritardi nella spesa=spreco di risorse. I due aspetti sono diversi. Anzi, in non pochi casi sono proprio i progetti di maggiore qualità e dimensione, dai quali ci si aspetta un impatto di lungo periodo più importante, a richiedere tempi più lunghi per la propria definizione e attuazione.

Non necessariamente la velocità di attuazione è sinonimo di qualità degli interventi. Tuttavia, la velocità di attuazione rappresenta un importante problema in sé.

Vi sono almeno tre motivi per i quali occorre assicurare un ragionevole andamento della spesa e evitare forti ritardi.

In primo luogo perché – a differenza di quanto avviene per le altre politiche pubbliche che si realizzano in Italia – gli interventi cofinanziati dai fondi strutturali sono soggetti alla cosiddetta regola “n+2” per cui le risorse vanno spese (e la spesa certificata) entro due anni massimo dal momento in cui sono state impegnate.

Ciò significa che essendo le risorse allocate per un periodo di sette anni (2007-13), esse vanno spese e certificate tutte entro il 31.12.2015, pena il loro rientro nel bilancio comunitario (“disimpegno”). A differenza di quanto diffusamente sostenuto, l’Italia non ha mai perso risorse dei fondi strutturali europei, se non per ammontari trascurabili. Tuttavia, essendo particolarmente ampio il ritardo di spesa nella programmazione corrente, non può essere affatto escluso un disimpegno, anche cospicuo, a fine 2015.

In secondo luogo perché un avanzamento particolarmente lento ritarda gli effetti delle politiche: effetti sia di domanda (collegati alla spesa), sia di offerta (collegati all’impatto economico degli interventi). In un periodo di recessione straordinariamente intensa e persistente come quello che sta vivendo l’Italia, ciò appare particolarmente negativo.

In terzo luogo perché accumulare ritardi può determinare la necessità di azioni di “ingegneria finanziaria” sui fondi. Essi possono assumere la veste di ripetute riprogrammazioni degli interventi previsti (sostituzioni, modifiche), ovvero dell’utilizzo nella rendicontazione per il rimborso comunitario di progetti già finanziati e realizzati (variamente definiti progetti sponda o coerenti). Nel 2011 poi è stata ridotta per circa 10 miliardi la quota di cofinanziamento nazionale dei fondi strutturali (attraverso il Piano di Azione Coesione del governo Monti) riducendo dello stesso ammontare il totale disponibile (e soggetto alla regole del n+2).

Si tratta di azioni adottate anche altrove; nell’intera Europa ben 45 miliardi di euro (13% del totale dei fondi strutturali) sono stati riprogrammati dopo il 2009 e spostati da una priorità all’altra. Il cofinanziamento nazionale è stato ridotto in ben 16 paesi (in Irlanda, Portogallo e Lettonia per un valore proporzionalmente maggiore rispetto all’Italia), complessivamente per il 18% dell’importo iniziale. Si badi: si tratta di interventi in parte fisiologici (per la lunga durata dei programmi, per una gestione ottimale delle risorse finanziarie); ma che, se reiterati possono mettere a rischio  l’efficacia  delle  politiche.  Va  tuttavia  notato  che  nel  caso  italiano  il  governo  Monti  ha mantenuto sia la destinazione territoriale (poi successivamente in parte cambiata dal governo Renzi) sia la caratteristica di spesa in conto capitale, per lo sviluppo delle risorse finanziarie interessate, orientandole verso progetti di grande rilevanza, e con un peso relativamente contenuto di nuovi lavori pubblici.

L’aspetto  importante,  tuttavia,  è  che  rispetto  al  precedente  periodo  di  programmazione,  2000-06, l’Italia mostra non un miglioramento ma un peggioramento nella capacità di spesa.

A fine 2011 l’Italia aveva 9 punti percentuali di realizzazione in meno rispetto allo stesso stadio del periodo di programmazione precedente (2000-2006)3.

Ora la domanda è: perché questi ritardi? La domanda è importante, e rischia di esserlo ancor più se a fine anno vi sarà un cospicuo disimpegno. Nella discussione pubblica in Italia i ritardi sono normalmente addebitati alle ridotte capacità amministrative delle Amministrazioni regionali del Mezzogiorno, ovvero a decisioni politiche, nelle stesse Amministrazioni, ispirate da clientelismo e corruzione. Si tratta di valutazioni che hanno ripercussioni rilevanti sulle decisioni di politica economica: viene sovente sostenuto, tra l’altro, che non si possano neanche discutere le allocazioni finanziarie per le politiche ordinarie (correnti e in conto capitale), anche se questo penalizza il Mezzogiorno, perché nell’area ci sono così tante risorse inutilizzate da spendere.

Tuttavia, si tratta di valutazioni spesso sommarie e grossolane. In questo testo si cercherà di pervenire ad alcune valutazioni basate sull’evidenza disponibile.

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