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Sono Walimohammad Atai, ho 21 anni e vengo dall’Afghanistan
18 Ott 2017 08:11

Gli sbarchi, l’accoglienza, l’integrazione tra chi arriva in un posto e chi vi è nato, non sono soltanto una questione politica, o sociologica, come siamo abituati ormai a ritenere.

Dietro ogni volto c’è una persona. E dietro ogni persona c’è una storia da raccontare e da ascoltare, perché arricchisce il nostro patrimonio di conoscenze, la nostra esperienza del mondo.

Quattro anni fa, quando ne aveva appena 17, Walimohammad Atai scappò dall’Afghanistan dov’era nato. Sul suo capo pendeva una condanna a morte dei talebani.

È riuscito ad arrivare avventurosamente in Italia, e attualmente vive in Puglia, nella provincia di Foggia, a Rodi Garganico. Lavora in un centro SPRAR per i minori non accompagnati, e regala ai lettori di Resto al Sud la sua storia, di cui gli siamo molto grati.

Ricordate La Vita è bella di Benigni? Cosa sarà accaduto a Giosuè, il bambino che ne è protagonista, dopo essere scampato al campo di concentramento? La storia di Walimohammad riprende dove si interrompeva quella del film: è in un certo senso quella di Giosuè che cresce, si rende conto di quanto ha vissuto, e affida alla narrazione la sua vita, in cui si intrecciano speranza e intolleranza, pace e violenza.

Come ha già fatto a Crotone, incontrando gli studenti di una scuola media e parlando loro della sua vita, Walimohammad vorrebbe raccontare la sua esperienza agli studenti delle scuole pugliesi e meridionali. I dirigenti scolastici o i docenti che fossero interessati possono contattare la redazione di Resto al Sud.

Potete leggere gli interessanti elaborati scritti dagli studenti calabresi, dopo l’incontro con Atai a questo collegamento.

Le foto che illustrano il racconto mostrano l’autore con gli ospiti del centro presso cui lavora, e le sue belle sculture realizzate. Buona lettura.

* * *

Sono Walimohammad Atai, ho 21 anni e vengo dall’Afghanistan.

Vivo in Italia dal 2013 e dopo aver ottenuto la protezione come rifugiato, lavoro come interprete e mediatore linguistico-culturale.

Sono figlio di un medico, mio padre si chiamava Dott. Atta Mohammad e fu ucciso dalla gente del mio villaggio. Ero così piccolo che non l’ho mai conosciuto.

Crescendo mi è nata la curiosità verso le foto ed i libri presenti in casa nostra, così chiesi alla mia mamma di chi fossero le foto ed i libri. La mamma rispose che le foto e i libri appartenevano a mio padre, e mi raccontò che mio padre era stato ucciso da un Imam con l’aiuto della gente del posto.

Mio padre sempre consigliò alla gente del villaggio di non uccidersi per i vantaggi dei paesi stranieri e di mandare i loro figli e le loro figlie a scuola invece di farsi saltare in aria per andare in “paradiso”.

Da piccolo il mio sogno era di diventare uno psicologo come mio padre: di mattina frequentavo la scuola ed il pomeriggio andavo a fare i corsi di matematica, biologia, fisica, chimica e di scienza. La gente parlava sempre male di me e cercava di ostacolarmi, ma nonostante tutto questo non mi sono fermato ed ho continuato a frequentare la scuola.

Nel 2011 i Talebani hanno aperto in una zona rurale, abbastanza lontano dal capoluogo, un centro di addestramento per i kamikaze, in cui veniva insegnato come farsi esplodere per Allah. Tutti i giovani ragazzi invece di andare alla scuola andavano alla Madrassa, la Scuola Coranica.

Nel 2012 ho aperto nel mio villaggio, con l’aiuto dei soldati americani e del governo afgano, un centro per l’apprendimento dell’inglese e dell’informatica per bambini e adulti. All’inizio non venivano in tanti, ma poi il numero è aumentato.

Una volta alla settimana venivano gli americani a fare la pattuglia nel villaggio ed io andavo sempre a parlare con loro. Un giorno gli americani mi portarono i libri, i quaderni, i tappeti, le sedie, le matite, le lavagne e i tavoli per i miei studenti. Il giorno dopo ho distribuito tutti i materiali agli studenti, ed ho convinto tanti padri che l’educazione è la migliore arma rispetto al fucile!

Il 12/02/2012 ho fatto una scultura che assomigliava a Buddha. Io e mio fratello Dostmohammad Atai l’abbiamo portata a scuola. Era una cosa strana sia per gli insegnanti che per gli studenti, alcuni erano contenti di vederla mentre alcuni si sono arrabbiati!

Mentre io e il mio piccolo fratello Dostmohammad facevamo  vedere la scultura agli studenti, è venuto l’insegnante di teologia ed ha cominciato a rompere la scultura e dopodiché ha incitato i ragazzi a picchiarci: sono tornato insanguinato a casa ed è cominciata a circolare nel villaggio la voce che mi ero convertito al Buddhismo. Nel villaggio si è sparsa la voce che io  fossi un infedele.

Dopo quell’episodio della scuola la gente ha smesso di mandare i loro figli al centro da me. E tutte le persone avevano dubbi su di me.

Il 13/03/2012, gli americani hanno attaccato un gruppo di Talebani nel mio villaggio e sono rimasti uccisi 4 membri dei talebani.

Dopo l’attacco, i Talebani mi hanno accusato di essere spia degli americani e di essermi convertito al cristianesimo. Il comandante dei Talebani, insieme con la gente del posto, sono andati a bruciare il centro in cui insegnavo, successivamente sono venuti a casa, mentre io ero fuori, e hanno torturato e picchiato tanto il mio fratello piccolo Dostmohammad, che al fine è stato operato ai testicoli a causa di questa crudele punizione. Hanno rotto tutte le mie sculture e mi cercavano in tutta la casa.

Tutto il villaggio ed i Talebani volevano uccidermi. Sono riuscito a scappare nella provincia di Herat, da dove ho lasciato subito, e definitivamente l’Afghanistan.

Dostmohammad, una volta dimesso dall’ospedale, ha cercato di frequentare la moschea non per Allah ma per la paura dei Talebani.

Nel 2015, mio fratello ha però smesso di frequentare le Madrassa ed ha voluto a fare le stesse cose che facevo io: tutti i giovani ragazzi del mio villaggio sono cambiati tanto. Mio fratello Dostmohammad parlava ai giovani, cercando di far capire alla gente che non è giusto farsi saltare in aria per andare al paradiso. “Non esiste paradiso, non uccidete i bambini e le donne e lasciateci avere il nostro diritto all’istruzione“.

L’imam del villaggio ha emesso un decreto in cui era scritto che mio fratello si era convertito al cristianesimo e stava cercando di far convertire i loro figli: “Per questo deve essere impiccato e lapidato davanti alla gente del posto, e non deve scappare come il suo fratello”.

Allora Dostmohammad mi contattò raccontandomi che la situazione stava precipitando. Gli ha detto di andare immediatamente via dal villaggio, prima che la gente del posto ed i talebani andassero a catturarlo. La mia mamma ha parlato coi trafficanti di portarlo in Italia da me. E’ riuscito ad arrivare in Bulgaria, dalla Bulgaria è stato portato in treno direttamente in Germania, ha fatto la domanda di asilo e ora si trova a Monaco.

Anche il mio viaggio non è stato facile: ho viaggiato diverse volte sotto i cassoni dei TIR per potermi salvare e ho attraversato diversi paesi. Appena arrivato in Italia la vita non era facile con una cultura così diversa.

Per integrarmi ho capito l’importanza di studiare e capire la lingua italiana e dopo qualche tempo ho cominciato a lavorare in Puglia (dove c’era il campo profughi che mi ospitava), con gli avvocati che seguono i migranti.

La mia passione per le lingue straniere mi ha portato a studiare ed imparare da solo diverse lingue straniere e in seguito al corso per mediatore culturale, adesso lavoro con l’Associazione L.I.A. di Bergamo come interprete e mediatore interculturale nello Sprar per i minori stranieri non accompagnati a Rodi Garganico, in provincia di Foggia. Nel frattempo sto seguendo i corsi della laurea triennale in Scienze della Mediazione linguistica.

Qui ho trovato una nuova famiglia composta dai miei colleghi e dai ragazzi che ospitiamo, ai quali cerco di essere di esempio e di riproporre le attività che svolgevo in Afghanistan: collaboro nell’insegnamento dell’italiano e facciamo laboratori artistici.

Sempre per conto dell’Associazione L.I.A., con il mio collega Matteo Vairo (Responsabile dello sviluppo dell’Associazione L.I.A.) faccio parte dell’equipe che compone la startup di avviamento dei nuovi Centri di Accoglienza in apertura.

Qui mi trovo bene, il mio lavoro mi piace, mi sento libero di esprimere le mie idee e i miei interessi e posso vivere la fede nel modo in cui desidero… ancora sogno di diventare psicologo come mio papà!

Per quando riguarda la situazione in Afghanistan, la prima cosa che vorrei dire è che la guerra non è tra noi afghani ma sono le potenze straniere che fanno il bello e il cattivo tempo nel mio Paese, da sempre.

Mi domando: come mai i talebani non vengono ancora sconfitti? da chi sono armati? E la comunità internazionale davvero vuole aiutare o contribuisce alla situazione di instabilità?

Da circa 17 anni la “coalizione” è in Afghanistan, ma sanno bene che tutto inizia in Pakistan, alleato degli USA e quindi non direttamente attaccabile.

Se volessero davvero aiutarci già l’avrebbero fatto, ma ci sono troppi interessi economici di mezzo e a rimetterci sono solo i miei connazionali che non sanno neanche per chi o cosa combattono.

Direi che questa guerra nessuno ci tiene davvero a interromperla e le persone come me vengono accusate di essere “convertiti” e infedeli quando vorremmo solamente vivere in pace ed esprimerci liberamente come negli anni ’70, quando le donne non indossavano neanche il velo e il diritto all’istruzione era libero; il tutto pur essendo in un paese musulmano.

Questo significa che il problema non è l’Islam ma gli interessi che girano intorno all’Afghanistan.

Walimohammad Atai


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