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Francesco Rosi, riformista meridionale
13 Gen 2015 07:31

Secondo Enrico Magrelli il cinema di Francesco Rosi è complesso, potente, dialettico, modernissimo.

Quattro aggettivi che sono punti cardinali di una filmografia abbarbicata alla nostra storia nazionale e che fanno del regista napoletano un gigante della cinematografia internazionale per caratura tecnica e metodo di lavoro.

Devo molto all’opera e al magistero di Francesco Rosi.

Grazie a mia madre, cinefila onnivora autodidatta, fin da piccolo appresi e vidi la lezione spettacolare de “La Sfida” e de “I Magliari”, film in cui Alberto Sordi interpreta il ruolo del lestofante.

Ebbi la fortuna di poter raccontare al grande Maestro come mia madre, persona senza studi ma che aveva visto film di ogni genere, avesse inconsciamente recepito e compreso la scelta registica di riprendere Salvatore Giuliano quasi sempre di spalle e mai in primissimo piano.

Con “Salvatore Giuliano” Rosi ha dato alla Storia del Paese le immagini che non c’erano della prima strage di Stato italiana, quella di Portella della Ginestra.

Una Sicilia al tempo presente è stata raccontata con geometrica potenza dando anima e vita alle inchieste giornalistiche di Tommaso Besozzi che non si fece incantare dalle ricostruzioni dei carabinieri e del ministro Scelba. Rosi con quel film riuscì a rendere senso comune nazionale le oscure vicende della banda Giuliano, del separatismo e dei rapporti tra mafia e Dc incentrati sull’anticomunismo militante.

Il regista riesce attraverso un’innovativa macchina spettacolare a dare informazioni utili alla formazione civile e politica degli italiani impegnati nella battaglie delle idee.

Spesso si dimentica che Francesco Rosi nel suo lungo apprendistato giovanile (la sua opera prima la firma a 36 anni) aveva bazzicato subito dopo la guerra Radio Napoli dove aveva incrociato il suo vecchio gruppo giovanile che declina i nomi di Ghirelli, La Capria, Barendson, Patroni Griffi.

Poi collaborò al giornale Sud e per un breve periodo con Ghirelli frequentò le stanze di Milano Sera. Insieme a pupazzi e disegni il giovane Rosi ha impregnato il suo cinema civile di giornalismo.

Me ne accorsi quando in una tv privata di Cosenza adoperavo “Le mani della città” per spettacolarizzare la cronaca del consiglio comunale. Gli insert del film consegnavano alle vicende politiche della mia città uno stile oratorio magnifico. Avevo un cameraman, Ercole Scorza, capace di comprendere quello stile per una trasmissione che si chiamava “meridiani e paralleli”: riprendevamo alla Rosi i consiglieri impegnati nella speculazione edilizia riuscendo a raggiungere lo scopo.

E’ noto che Rosi per ricostruire in modo più avanzato possibile il caso Mattei ingaggia per delle ricerche esclusive il giornalista dell’Ora di Palermo, Mauro De Mauro, che riesce a ricostruire le ultime ore del manager dell’Eni nella sua visita in Sicilia. Non è escluso che il rapimento di De Mauro e la sua scomparsa siano figli del lavoro svolto per il film di Rosi.

Rosi ha avuto la capacità di sporcarsi le mani con le vicende più scomode e significative di quel Paese oscuro che è l’Italia.

Si badi bene, non sto classificando Rosi nei santini del cinema civile italiano.

Io ho sempre visto in Rosi la tesi del riformatore in politica e nel cinema.

Infatti non sono mancate le incursioni in diversi generi,che pur non toccando le vette di altri titoli, ci consegnano uno straordinario Autore molto innovativo.

Francesco Rosi è stato un socialista riformista meridionale. Ebbe la capacità di dialogare con esponenti rivoluzionari come Volontè (con cui realizzò film memorabili) e con tutta la sinistra istituzionale non rinunciando mai alle sue idee.

Fu avversato da certa critica gauche e anche in queste ore qualcuno confonde le acque associandolo alla politica culturale del Pci da cui fu molto distante e anche in polemica come nel caso mirabile di “Cadaveri eccellenti”, trasposizione de “Il Contesto” di Sciascia che è stato per me viatico potente per la realizzazione del mio libro “Toghe rosso sangue”. Rosi ebbe anche il merito di distaccarsi da Craxi realizzando “Dimenticando Palermo” film che boccia crudemente la politica proibizionista italiana sulla droga di quel scellerato periodo.

Il cinema di Rosi sono tori spagnoli mitici, la fantasia rutilante di C’era una volta, la controstoria della Prima guerra mondiale, la mafia, la metafisica del potere, la lettura leviana avversata da Fofi, il tentativo di comprendere la lotta armata italiana, l’opera lirica, la trasposizione della grande letteratura con una professionalità maniacale ed encomiabile vissuta assieme ai suoi collaboratori che lo hanno sempre amato e rispettato.

Ho avuto la fortuna di conoscere Rosi e di partecipare al suo ritorno in Basilicata all’età di novant’anni in condizioni logistiche non facili. Presi al volo il pretesto di Materadio proponendo al sindaco Salvatore Adduce di assegnargli la cittadinanza onoraria in una manifestazione a Palazzo Lanfranchi di grande bellezza.

Posammo insieme davanti al quadro di Carlo Levi “Lucania61” in un ideale abbraccio tra generazioni che molto mi ripaga per quello che ho avuto l’onore di poter vivere. Ho conosciuto i suoi amici lucani, le pieghe del suo privato, la sua forza illuministica del saper essere gagliardo nei momenti pubblici che doveva affrontare. Ho proiettato i tre film del suo ciclo lucano al cinema Comunale di Matera. Mi resta il suo autografo sul Castoro scritto da Sandro Zambetti nel 1977 e che da anni mi accompagna nella rilettura dei suoi film che non mi stanco mai di rivedere. Ha impregnato la nostra cultura nazionale del suo cinema, che spesso è stato cinema maiuscolo.

Il Gonfalone di Matera è stato presente alla Casa del cinema di Roma lunedì al suo funerale laico.

Abbiamo salutato il corpo di questo grande italiano del Novecento.

Il suo cinema resta a futura Memoria.

A noi il compito di renderlo vivo alle generazioni di spettatori e cineasti che verranno.


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