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I due onorevoli avevano giurato
10 Dic 2014 08:58

Agli inizi del Novecento, i cittadini di un paese del Sud, si erano riuniti per parlare con l’onorevole del loro collegio, della costruzione di un asse ferroviario.

In quegli anni, a mezzo secolo dall’unità d’Italia, il Meridione era interessato da un forte sforzo dei governi, sopratutto del centrosinistra, per implementare il sistema viario. E per quel paese c’era l’occasione di far parte di un’asse di collegamento tra il Tirreno e l’Adriatico e si perorava insistentemente la causa.

L’onorevole incontrò i cittadini del posto nella masseria di proprietà di un barone e fece a loro ampia rassicurazione per un suo massimo impegno. Ad essi chiese di fare le stesse richieste ad un suo collega, che a giorni sarebbe transitato per le stesse contrade.

“Con la vostra forza e con la mia efficacia, queste terre avranno la ferrovia, che porterà prosperità e speranza, sviluppo e prospettive.”

Dopo qualche settimana anche il collega onorevole si presentò in paese, ed un codazzo lo seguì sino al piccolo albergo che lo ospitava. “Non mi sottrarrò alle mie responsabilità. Agirò all’unisono con il collega, ma auspico una mobilitazione cospicua e vigorosa nel momento in cui mi ricandiderò alla camera dei deputati.”

La prosa non mancava nell’epoca in cui D’Annunzio infiammava l’Italia con la sua elegante eloquenza. Al contrario dell’Italia attuale, dominata da leader con un vocabolario di cento parole ed una retorica da opera da due soldi.

Nel paese c’era fermento. Era atteso un incontro molto importante tra i due onorevoli, i quali scelsero come sede il salone seicentesco del palazzo del barone.

“Allora onorevole La Caccia, mi dica come dobbiamo concertare la nostra azione comune a Roma. Ho già accennato la faccenda al ministro e non l’ho trovato insensibile.”

“Egregio Milazzi, apprezzo la tregua politica che mi ha concesso, come io ho concesso la mia. Anche il mio partito è sensibile alla causa. Si tratta di porre tecnicamente la questione.”

“Certo, mi farò sentire in commissione chiedendo un progetto. Mi sembra un primo atto importante. D’altronde si tratterebbe di operare una divaricazione verso Nord del percorso, con un bretella che rientrerebbe sul percorso principale. Un’opera utile per tutta questa ampia valle.”

“Certo, l’utenza sarebbe davvero ampia.”

Il barone ascoltava in silenzio e si premurava che i camerieri non facessero mancare nulla alla colazione dei suoi ospiti.

Egli era una persona schiva, quasi misteriosa. In paese soggiornava non più di sei mesi all’anno, il resto lo passava nella capitale, dove viveva la sua estesa famiglia.

Il grammofono emanò nell’aria una sinfonia di Bach, il caminetto venne acceso ed iniziò a scoppiettare per i rami troppo freschi. Il ciocco ancora non prendeva sembianze incandescenti. Un buon bicchiere di vino d’annata fece la sua comparsa.

I tre commensali si ritrovarono a parlare guardandosi meglio negli occhi.

Il barone prese la parola. “Egregi signori trovo i vostri discorsi apprezzabili ….anzi, pregevolissimi….come le vostre capacità…. Vi pregherei, ma sono sicuro che non me lo negherete, di ascoltare un mio amico ingegnere. E’ dall’altra parte del palazzo, ma se voi lo permettete vi vuole parlare per non più di cinque minuti.”

“Ma caro barone, con la vostra squisita ospitalità, come potremmo negarvi una simile preghiera. Spero che il mio collega La Caccia sia d’accordo.”

“Ma certo, l’ingegnere sia il benvenuto.”

Dopo pochi minuti fece ingresso nella sala un uomo minuto, con degli occhialini e delle scartoffie sotto le braccia.

“Buonasera, onorevoli. Mi sono premurato di proporvi un abbozzo di progetto del tracciato della ferrovia, commissionatomi dal barone”

“Faccia, faccia pure, distenda le sue carte.”

L’ingegnere si avvicinò ad un grosso tavolo e aprì una grande cartina geografica. C’erano tutti i paesi della valle.

“Oibò –  mormorò l’onorevole Milazzi – ma dov’è la ferrovia?”

“E’ qui – gli rispose l’ingegnere”.

“Ma non passa per il paese!’

Intervenne il barone: “Ecco, onorevoli, io vi ho prestato le mie sale per questo incontro per farvi un discorso. E lo faccio a nome del…...” e fece il nome di due baroni, tre conti ed un marchese, tutti della zona. “Insieme abbiamo ampiamente parlato e ragionato e siamo arrivati alla conclusione che questa ferrovia sarebbe la totale rovina per i nostri latifondi.”

“E perché mai?” chiese meravigliato La Caccia.

“Perché la ferrovia permetterà a questa gente la mobilità e quindi favorirà l’emigrazione. E se questi emigrano, chi zapperà le nostre terre? Per noi sarà la rovina.”

I due onorevoli rimasero ammutoliti ed imbarazzati.

“Se voi accondiscerete alle nostre richieste, la vostra elezione sarà certa. Senza la ferrovia questi uomini che ci aspettano li fuori, li abbiamo in pugno. Siamo noi a dargli il pane e voteranno chi diciamo noi. Altrimenti le elezioni diventano per voi un incognita.”

Ancora silenzio.

“Voi andate a Roma, presentate la causa, poi sottobanco tralasciate tutto, archiviate, perdete tempo. Poi direte che ci avete provato ed è andata male. Prendete qualche giorno per riflettere. Ci vediamo qui la prossima settimana. Ricordate…..” E scandì con lentezza i nomi degli altri nobili. “Avete tutto il tempo di contattarli e assicurarvi delle loro volontà.”

All’uscita del palazzo dei due parlamentari, c’era concitazione. “Fate passare gli onorevoli!” Gridò il factotum del barone. “Tra una settimana ci sarà un incontro importante!” E la gente si allontanò.

“Allora, signori, eccoci intorno al tavolo per la vostra risposta. Prima di procedere con la cena, possiamo accomodarci davanti al caminetto”.

Si guardarono nuovamente negli occhi. Poi prese la parola Milazzi.

“Ecco…. noi abbiamo preso qualche informazione…. sui suoi amici , poi abbiamo riflettuto. E d’accordo con il collega abbiamo deciso di lasciar perdere il tracciato che porta al paese. Ma…..in caso di nostra mancata elezione siamo pronti a contraddire le nostre intenzioni….ne abbiamo tutto il potere…. ci siamo cautelati. A Roma basta una spintarella e la ferrovia passa da qui”.

“Avete la mia parola. Sarete eletti con un plebiscito.”

E cenarono discorrendo del più e del meno.

All’uscita c’era una folla straripante, per lo più di contadini.

Il barone usci anche lui con i parlamentari. E si rivolse alla piazza dicendo: “Signori…è fatta! Il nostro paese avrà la ferrovia!”

Scrosci di applausi e un grido si levò alto: “Barone! Barone! Barone!’


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