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La partita truccata
23 Ott 2015 09:00

Ogni paese del Sud ha la sua bella squadra di calcio. Magari sul web si trovano in primis tracce di essa, poi del Comune. E’ un classico.

Le squadre possono essere ben organizzate, poco organizzate e male organizzate. Dipende dal numero di abitanti del paese. Se siamo sopra i cinquemila, non male. Se intorno ai tremila poco male. Se intorno ai mille: ahi!

Queste ultime hanno il presidente che fa anche da allenatore, il custode del campo: da massaggiatore e da segnalinee di parte.

Ma tanti anni fa, si poteva ancora essere più spartani.

Nel 1928 c’era una squadra chiamata Diavoli Rossi, rigorosamente made in Sud. Uno dei giocatori era Mario e mi faceva da barbiere sino a quindici anni fa.

Egli mi raccontò il calcio di quegli anni, a puntate. Iniziando dalla palla. Essa era un insieme di pezzi di copertone di ruote d’auto, tagliati all’uopo e legati in modo da arrontondare il tutto. C’era dentro anche del cartone.

Le trasferte erano limitate ai quindici chilometri ed il motivo era legittimo quanto incredibile.

Eccolo: si raggiungeva la meta a piedi. Ed il raggio di azione massimo, appunto, corrispondeva a tanto.

Avete capito bene! I giovani calciatori, raggiungevano il campo in trasferta a piedi o, raramente, in bici. Così il programma della giornata era il seguente: scarpinata da dodici chilometri a partire dalle sei di mattino, partita alle 14, riposo e ritorno a casa per altri dodici chilometri a piedi.

Il paese della squadra di Mario era sul mare ed il ritorno era via spiaggia. Lui il presidente-allenatore ed i suoi compagni, raggiungevano il paese con studi geometrici del percorso. Dalla spiaggia risalivano in collina tramite mulattiere, per poi ripercorrerle al ritorno.

I Diavoli Rossi erano considerati una buona squadra, perché poteva permettersi una divisa, ma le scarpe erano casuali. I giocatori rinforzavano la punta, non c’erano regole, ne’ spogliatoi. I campi di calcio erano tracciati su veri campi…..di grano o di frutta. Le linee venivano composte all’ultimo momento.

Ma comunque le compagini erano squadre vere, non foss’altro perché rappresentavano il paese e l’onore del paese.

Chiesi a Mario di raccontarmi di una trasferta particolare. Quindici anni fa ero votato a tempo pieno alla scrittura, quindi interessato a queste vicende un po’ surreali e gli promisi di scrivere di lui. Cosa che poi feci.

Egli  mi disse di una volta in cui, dopo diedi chilometri a piedi, raggiunsero un paese che li sovrastava da una collina.

Un po’ stanchi, si riposarono e assisi per terra ebbero modo di ammirare delle belle signorine. Allora si alzarono per mostrare il petto fiero e qualcuno dei suoi compagni riuscì a scambiare qualche parola.

Queste dissero che verso le diciotto sarebbero uscite per una passeggiata domenicale nella strada principale del paese.

I giovani calciatori presero l’informazione come un vero appuntamento. Le donne di quei tempi difficilmente elargivano dettagli del genere. Allora, il più matto di loro fece un discorso ai compagni: “Noi queste possiamo incontrarle, ma se vinciamo la partita rischiamo di essere menati dai giocatori del posto, perché gelosi. Quindi noi oggi perdiamo! Li facciamo contenti, ce li facciamo amici e loro ci lasciano parlare in pace con le ragazze”.

Tra la vincita e le donne vinsero le donne. Così Mario e compagni giocarono per un rotondo tre a zero a sfavore. Con grandi attenzioni verso gli avversari.

La partita finì, i locali andarono a prendere l’applauso dei compaesani e Mario e compagni non ebbero nessun biasimo, perché non v’erano tifosi che andavano per dieci chilometri a piedi in pellegrinaggio.

Così – come da copione – dopo la partita i Diavoli Rossi entrarono in paese ed aspettarono le signorine. E quando queste apparvero sul corso, qualcuno di loro si fece avanti.

Ma dopo circa mezzora di ammiccamenti, giovani del posto si avvicinarono a chiedere cosa volessero i forestieri.

“Noi siamo quelli che hanno perso tre a zero!” esclamò entusiasta il matto.

La spiegazione sembrò avere successo ed i giovinastri si allontanarono. Ma solo per chiedere rinforzi. Infatti si presentarono i più grossi picchiatori del paese ed i Diavoli Rossi furono costretti ad una repentina fuga.

I più veloci erano gli attaccanti, da ultimo seguiva il portiere.

Scesero la collina a perdifiato, usando tutte le energie risparmiate durante la partita. E solo quando guadagnarono la spiaggia, si voltarono per scrutare la situazione.

Gli energumeni erano un puntino lontano. E dalla corsa si passò alla marcia, con la sensazione di averla scampata bella e iniziarono a concertare la versione da dare ai tifosi che li attendevano.

Il matto disse a questi, riuniti in capannello: “E’ stata una partita durissima. Il campo era stato arato e siamo stati anche minacciati prima dell’incontro”.

I compaesani giurarono vendetta e li riempirono di pacche sulle spalle.

Come avete potuto constatare, cari lettori, il calcio truccato e le veline con i calciatori, erano usanza antica. Anche durante il fascismo.


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