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Nata per vivere
15 Dic 2014 09:11

Si davano appuntamento in piazza, alle 17.00, dopo aver studiato. Frequentavano il liceo scientifico di un paese a qualche chilometro. Erano circa dieci, ben vestiti e uno di essi veniva in Bmw 630, roba da cento milioni, aveva diciassette anni.

Al padre avevano detto: “Ma guida l’auto senza patente!”

“Ma lo fa solo in paese, mica ci va fuori!”

“Aaaah!”Allora…..”

I ragazzi erano il classico giro bene di un paese dell’interland di una metropoli del Sud, ne’ emancipati, ne’ sprovincializzati, una via di mezzo. Un ibrido.

Esperimento interessante.

La casa di uno di essi era un’esagerazione di opulenza, per essere una casa degli anni ’80. Telecamere esterne, muri alti, giardino all’inglese, piscina, due campi da tennis ed un bagno con rubinetteria in oro. Una grossa pacchianeria, ma era una freccia di sorpasso, per chiunque volesse gareggiare in reputazione di ricchezza.

La casa aveva anche una sala da biliardo ed una discoteca con le luci psichedeliche, per le feste dei ragazzi.

Quei ragazzi.

Ma a Daniele, detto Dani, nome insolito per quel luogo, piaceva Franceschina, una ragazza procace, bella, ma tanto ruspante, nel senso di spontanea volgarità.

Ella nemmeno si avvedeva della sua bellezza quanto del suo corpo. Non valorizzava il suo viso, quanto era molto attenta a chi guardava le sue forme. La infastidiva, perché temeva di passare “per una di quelle che fanno il mestiere”.

Abitava in una casa logora, quasi indecente, con il bagno fuori. E per accedervi doveva vestirsi ed uscire sul pianerottolo.

Nell’abitazione erano in sei, lei e tre sorelle, più i genitori, un po’ anziani. Il padre non lavorava più e non aveva la pensione, così tutte le donne  s’ingegnavano come domestiche, compresa la madre. Si erano allocate in due famiglie e facevano un po’ di tutto. La scuola l’avevano lasciata alla terza media.

Franceschina era un po’ leggera nel comportamento, nel senso che non prestava concentrazione in ciò che faceva, le piaceva cantare ed era di buoni sentimenti. Ma Daniele, era colpito da quel mix di bellezza del viso e prorompenza fisica. L’aveva scoperta a tredici anni e l’aveva vista crescere fino ai diciotto. Poi pensando e ripensando, si disse: “Perché no?”

E già, perché no? Il motivo era che la famiglia di lei, nonostante si trattasse di un grosso centro urbano, era individuata tra le più sdrucciolevoli culturalmente. E la mentalità provinciale faceva il resto.

Ma a diciassette anni non si fa caso ai rituali e dunque Daniele si mise a corteggiarla con molta cura. Non poteva entrare irruentementemente, c’era da costruire un ponte per travalicare felpatamente in una vita così lontana. Con il rischio del rifiuto. Non era Adone.

Daniele iniziò a passare con la Bmw del papà, più volte volte al giorno, davanti a quella casa disordinata. Poi iniziò a frequentare la famiglia dove Franceschina lavorava con le sue sorelle. Qualche parola scambiata, qualche sorriso, una leggera amicizia, un saluto per strada, le somme da tirare dopo un mese.

Era difficile.

La ragazza non sembrava prenderlo in considerazione. Il tempo passava.

Allora Daniele cambiò strategia.

“Senti Francesca, tu mi piaci. Io ti corteggio. Ma sembra che non te ne accorgi!”

“Se ti piaccio….perché non mi sposi?”

Il giovane rimase di sasso.

“Ma io non sono pronto per il matrimonio! Prima ci dobbiamo conoscere!”

“Come la fai lunga! Tu mi piaci io ti piaccio. Sposiamoci! Io i soldi per la casa non ce li ho, tu sei ricco. Trova una casa!”

Daniele rimase interdetto. Non sapeva se il suo perbenismo creava filtri inutili alla sua vita o era Franceschina a non avere alcun filtro alla sua ingenuità. Non sembrava certo una ragazza furba.

“Senti Daniè, io ci ho pensato. Se tu mi vuoi, possiamo anche andare a vivere insieme senza sposarci. Possiamo anche andare via da questa città. Basta che riusciamo a campare, io mi accontento di poco. Sei tu che sei abituato a vivere bene.”

“Ma perché mi dici queste cose. Si parla così a chi si vuole bene. Noi ci desideriamo, al limite. Non credo che tu mi voglia bene.”

“Io non ti voglio bene. Però tu sei un bravo ragazzo, educato, istruito, imparerò a volerti bene. Ne sono sicura.”

Davanti ai bizantinismi della sua famiglia e del suo ambiente, quel parlare semplice e schietto, dava un senso di semplificazione della vita, che nessun saggio avrebbe potuto dargli.

Per lui era tutto complicato. Secondo uno schema precostituito e ineludibile, avrebbe dovuto laurearsi in giurisprudenza, poi avrebbe dovuto inserirsi nell’azienda del padre per dargli una struttura manageriale, con l’ausilio del fratello, laureando in economia.

A diciott’anni era ad un bivio. Un bivio inaspettato, dettato dall’amore.

Parlò con il padre. Gli spiegò che voleva sposarsi (ma non con chi, per non appesantire) e che avrebbe continuato gli studi e tutto il percorso.

Ci fu un rifiuto netto dell’idea.

Erano saltati dunque i finanziamenti economici.

“Francesca, mio padre non vuole. Potevo anche tacertelo e continuare per un po’ a cincischiare. Ma tu mi ha insegnato la semplicità e non meriti questo trattamento. Trova una soluzione.”

“Andiamo via dal paese. Ce li hai un po’ di soldi?”

“Si. Ho un appartamento di mia proprietà che mi ha lasciato mio nonno. Posso venderlo.”

Vendette l’appartamento e partì. Nacque un bambino. Franceschina faceva la domestica in una famiglia, Daniele il commesso in una cartoleria. Avevano un bilocale in affitto, un po’ di soldi in banca.

Era nato un uomo. Un uomo libero. Lei era donna e libera lo era già.


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