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Si può fare di meglio. In silenzio
07 Gen 2015 10:00

Nel pieno del Sud, in un comune feudo della Democrazia Cristiana, far parte del Partito Comunista Italiano, era considerato blasfemo. Si votava “croce su croce”, ovvero la Dc, considerato il partito di Dio.

Non c’era scelta.

Fino alla metà degli anni ’70, in quel paese, la fedeltà al partito era pari a quella dell’Assoluto.

Antonio era iscritto al partito comunista, in un luogo dove su ottomila abitanti, quattromila erano tesserati della Dc e 22 del partito di Berlinguer. Tra questi 22, Antonio aveva la tessera numero tre e faceva il sindacalista.

In giro godeva di scarsissima considerazione, perché considerato uno dei rappresentanti di satana e un ignorante.

Come sindacalista non metteva paura a nessuno e questo lo mandava in bestia. Per fare il suo lavoro e vivere degnamente: doveva guardarsi bene di non contraddire i medici condotti del paese (padroni in certo qual modo della salute dei cittadini), doveva guardarsi dal prete (che poteva trattare male le zie e la madre), doveva preoccuparsi dei giudizi del preside delle medie, per i suoi nipoti e del direttore didattico.

Vogliamo poi togliere il farmacista?

La lista era lunga. Svolgere il suo ruolo, schivando tutte le possibili micro-ritorsioni, era difficile. Si limitava a tenere aperta la sede della Cgil e a far pagare le quota ai pochi iscritti.

Ma così non poteva continuare. Non se la sentiva di fare il passacarte. Sopratutto quando si era sparsa voce di una possibile visita del leader nazionale.

“Cara Giuseppina. Io devo fare il mio lavoro. Allora ho pensato di capovolgere il tavolo. Vi proteggerò lo stesso tutti, perché farò paura a tutti. Voglio vedere chi vi tocca. M’hanno rotto: medici, avvocati, preti ed insegnanti. Adesso si cambia metodo!”

La moglie lo guardò pensando che avesse bevuto qualche bicchiere di troppo.

Ma Antonio si era messo in testa di fare la sua rivoluzione. Allora iniziò a girare le campagne per parlare con il nutrito contado.

“Basta con questa storia della fede! Qui non va all’inferno nessuno se si bada ai propri diritti. Queste menzogne sono state messe in giro per trattarvi come caproni! E voi caproni siete – se state sempre zitti! Quali sono i vostri problemi?….. Forza! Facciamo l’elenco!” E tirò fuori carta e penna. Ma il manipolo dei contadini stette muto.

“Ma vi rendete conto? Con tutti i problemi che avete – non ne tirate fuori uno! Di che avete paura? Che il medico non viene per tempo quando sta male vostro figlio? Che il veterinario vi fa morire la vacca? Che il prete vi scomunica? Che al comune vi trattano male? ……Non fate i vigliacchi! Non vi fate ricattare! – Noi possiamo cambiare la nostra condizione! Possiamo comandare noi!  – Sapete quanti contadini ci sono? Mille volte i signori che comandano. Sta a voi decidere!”

E se ne andò lasciandoli a discutere.

E nelle settimane successive continuò i suoi pistolotti, campagna dopo campagna, piazza dopo piazza, casa dopo casa. Qualcuno pensò che era impazzito. Ma l’idea che i contadini erano tanti ed il potere fosse nelle mani di pochi uomini, completamente avulsi da essi, aveva iniziato a fare breccia.

L’arciprete del paese, uomo sanguigno, era su tutte le furie.“Come si permette questo cafone figlio di cafoni a parlare in questo modo? Mi fa passare per un tiranno. Qualcuno deve fermarlo!”

Iniziò un periodo di conciliaboli in paese. Ogni professionista e possidente, aveva fatto da padrino in cresime, battesimi e matrimoni a più di cento persone. E tutti si adoperavano per spegnere i bollori innescati da Antonio il sindacalista.

Si svolsero le lezioni comunali, ed il Partito Comunista passò da cinquanta a seicento voti. La Dc ne perse altrettanti e si attestò a quattromila.

Qualcosa stava cambiando. Antonio cominciava ad incutere timore.

Nessuno dei professionisti usò maniere forti o mezzuccci. Tutti lo presero con le pinze.

Un giorno il sindacalista venne avvicinato da un suo compare, questi aveva quaranta ettari di terra ed una famiglia allargata, portatrice di molti voti e che per questo si faceva rispettare.

“Senti Antò, stai scatenando un casino….. E adesso la manifestazione per l’acqua….ora quella per le strade interpoderali….poi quella per i fondi del governo, ora pure questa storia del campo sportivo.” Poi sussurrò: “Dimmi un po’….che vuoi….che ti serve?”

“Che significa: che mi serve?”

“Ci sono certi amici che si sono chiesti che ti serve? Perché fai questo casino. Ti hanno fatto un torto? Ti serve di mettere a posto qualche cosa? Basta che parli e si vede cosa si può fare”

“Ma io voglio mettere le cose a posto in questo paese. Qui i contadini sono la maggioranza. Perché non devono comandare loro? Perché in comune non c’è un solo consigliere che esce dalle campagne?”

“Antò, noi siamo ignoranti. I fatti nostri ce li facciamo lo stesso. Vedi la mia famiglia. Stiamo tutti bene. Abbiamo sistemato tre figli impiegati, l’acqua arriva, la strada per le terre fra due anni ce la fanno. A te che ti serve?”

“Ma non pensate ai poveri braccianti? A quelli chi ci pensa? Loro sono la maggioranza!”

“Pensaci Antò, dicci che ti serve. Un posto di lavoro? Due, tre? Un posto nel consiglio comunale? Uno nella giunta?”

“Francé ….. ma a te chi ti manda?”

“Si dice il peccato e non il peccatore. Pensaci.”

E Antonio ci pensò. Poteva cambiare la sua vita. Con un colpo al cerchio ed uno alla botte, poteva sistemarsi lui ed i suoi figli. Poteva cambiare vita.

La mattina andava a guardare dall’alto del monte i braccianti che lavoravano nei campi, la sera guardava la sua famiglia intorno al camino.

Nel rimuginare arrivò a chiedersi perché aveva scosso il paese, se per voglia di giustizia o di un posto a tavola. Arrivò a chiedersi se non si era identificato in quei braccianti. Tanti perché.

Dopo circa quindici giorni organizzò un comizio in una piazza del paese.Vennero numerosi, anche occhi indiscreti di amici degli amici.

“Abbiamo ottenuto l’attenzione sulle nostre richieste, Solo quelle, perché i problemi sono rimasti. C’è comunque chi si è preoccupato ed ha cercato di risolvere in qualche maniera la nostra mobilitazione. –  Voi contadini qui non contate niente, siete accontentati in piccole richieste, ma il potere ce l’hanno altri, che con noi non centrano nulla. Io ho cercato di portarvi al potere e la strada è buona. L’ho capito da un discorso che mi hanno fatto in privato. Un discorso importante. Io ho deciso di non fermarmi e di andare avanti. I vostri diritti valgono più del mio benessere. Io vado avanti. Noi arriveremo in giunta ad avere i nostri uomini che salvaguardano i nostri diritti.”

Antonio aveva fatto la sua scelta. E nel giro di qualche mese si trovò scansato e allontanato anche dall’ultimo cane del paese. Il discorso fatto a lui venne fatto, in piccolo, a fotocopia, ad altri cento capi-famiglia. E piano piano vennero dati dei posti di lavoro, costruita qualche strada, rifatta la piazza principale. L’emigrazione si arrestò per qualche anno e il Partito comunista tornò a venti voti e la Cgil ebbe cinque iscritti.

Antonio andò a lavorare in Toscana. E quando ad una straboccante Festa dell’Unità gli dissero: “Antonio, guarda di cosa è capace il partito!”

Lui rispose: “Ho visto fare di meglio. Senza fare questo casino”

N.d.A. Questo non è un pezzo ideologico. La Democrazia Cristiana ha avuto il grande merito di ricostruire un paese dalle ceneri di una guerra. Ma il racconto fotografa lo scempio che da metà degli anni ’50 alla metà degli anni 70, è avvenuto in certo Sud. Dove si è mischiata religione ignoranza spregiudicatezza egoismo e mancanza di un minimo di lungimiranza. Una catena umana che nelle sue acrobazie di potere ha bloccato il progresso del Meridione. E dove anche il Pci, non ha saputo fare la sua parte, vittima di molti Masanielli improvvisati.

Questo è il mio pensiero.


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