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Anche la mafia è in crisi economica
22 Apr 2014 09:24

“Dall’inchiesta Iago emerge che la mafia è in crisi economica. Non riesce a fare fronte al sostegno delle famiglia dei carcerati. Per questo oltre al pizzo cerca nuovi possibili introiti dallo spaccio di droga e dai centri scommesse”. Lo ha detto il procuratore di Palermo Francesco Messineo nell’illustrare l’operazione dei carabinieri che ha portato al fermo di otto mafiosi.

A fare scattare l’operazione è stato un telegramma dal testo apparentemente banale.

“Caro Gianni la salute del bambino tutto bene. In un unico abbraccio ti siamo vicini”. Autore Marcello Di Giacomo. Destinatario il fratello Giovanni, boss ergastolano. I carabinieri, che da mesi intercettavano e tenevano sotto controllo il capomafia di Porta Nuova, storico mandamento palermitano, hanno capito allora che il progetto di morte, nascosto dietro le informazioni sulla salute di un presunto bambino, stava per compiersi. E sono intervenuti.

Otto le persone fermate prima che potesse scoppiare l’ennesima guerra di mafia. Tra loro lo stesso Marcello Di Giacomo, i boss Nunzio Milano e Tommaso Lo Presti, da poco tornati liberi, Vittorio Emanuele Lipari e il figlio Onofrio. Ai Lipari i carabinieri che hanno eseguito gli arresti hanno in realtà salvato la vita: ritenuti responsabili dell’omicidio di Giuseppe Di Giacomo, fratello di Marcello e Giovanni, erano finiti nel mirino del clan che li aveva condannati a morte.

“Grazie allo straordinario lavoro dei Carabinieri e della Direzione Distrettuale Antimafia – ha commentato il ministro dell’Interno Alfano è stata messa a segno un’altra straordinaria vittoria.
Si tratta di un’operazione che ha portato all’arresto di otto presunti boss del mandamento mafioso di Porta Nuova, indebolendo così, alla radice, il tessuto mafioso, attraverso la decapitazione dei vertici di un intero clan”.

L’inchiesta, che non a caso gli investigatori, evocando la storica figura shakespeariana, hanno chiamato col nome del traditore Iago, nasce da una serie di intercettazioni in carcere. Da una cella di Parma Giovanni Di Giacomo, padrino carismatico di Porta Nuova, seguiva passo passo l’ascesa del fratello Giuseppe alla guida di uno dei clan più ricchi di Palermo.

A designarlo a capo della cosca era stato lui stesso. E durante i colloqui in carcere gli dava consigli, lo metteva in guardia dalle insidie rappresentate da boss concorrenti e dagli investigatori. “A te ti abbiamo fatto noi altri (espressione che per gli investigatori indica i boss detenuti)”, dice Giovanni al fratello non sapendo di essere intercettato.

Mesi di dialoghi che hanno dato a magistrati e carabinieri il quadro dei nuovi assetti di potere del mandamento ai cui vertici sono tornati ad agosto, dopo la scarcerazione, Vittorio Emanuela Lipari, ritenuto dai Di Giacomo amico fidato, Salvatore Gioeli, detto Mussolini, e Nunzio Milano. Ma nonostante i consigli e gli avvertimenti di Di Giacomo, preoccupato che la leadership del fratello fosse messa in discussione dai capimafia tornati liberi, qualcosa non è andato per il verso giusto. Giuseppe Di Giacomo non è riuscito a spuntarla e il 12 marzo scorso è stato assassinato mentre tornava a casa insieme al figlio scampato all’agguato.

Ne è seguita un’istruttoria serrata disposta dalla cella dal vecchio boss che, grazie alle “indagini” svolte dall’altro fratello Marcello e dallo storico boss Tommaso Lo Presti, ha individuato chi avrebbe commissionato l’omicidio del fratello.

La colpa del delitto è ricaduta su Vittorio Emanuele Lipari, per anni ritenuto amico dai Di Giacomo: sarebbe stato lui, moderno Iago, a tradire. E nel piano per acquisire il comando del mandamento si sarebbe fatto aiutare dal figlio Onofrio. “Solo lui poteva fare ‘u crastu’ (il cornuto ndr) – dice Di Giacomo riferendosi a Lipari- ora da tutti mi sarei aspettato… però non da lui”.

La sentenza di morte per i due Lipari viene emessa subito.
Sollecitata dal padrino detenuto che invia una raffica di fax dal carcere al fratello Marcello per chiedere, con linguaggio criptico, come sta il bambino. E quando il telegramma l’informa che sta bene capisce che la cosa è fatta. Solo che prima dei killer di Cosa nostra sono arrivati i carabinieri.


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