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Un giorno sulle tombe dei nostri cari metteremo le zucche di Halloween
02 Nov 2013 09:49

Cammin facendo, nel nostro percorso verso la comune perdita d’identità, sono certo che ci arriveremo un giorno a mettere le zucche vuote e variopinte di Halloween al posto dei fiori e dei lumini sulle tombe dei nostri cari.

Ce le ritroviamo dappertutto entrando nei negozi, anche nei Bar, ove campeggiamo ripiene di tanti buoni cioccolatini da regalare ai bambini. Interessante notare che i vescovi dell’Emilia Romagna hanno varato ultimamente un documento di circa un centinaio di pagine sulle “devianze religiose” e le “derive spiritualistiche”, come lo yoga, il salutismo, le pratiche new age e l’ufologia.

Tra queste Halloween, considerata “una festa importante per i satanisti che “il cristiano non può accettare perché legata strettamente ad atteggiamenti superstiziosi, ed è contraria all’autentica vocazione cristiana”. Inoltre, continua l’episcopato romagnolo- “è l’anticamera verso percorsi esoterici”.

Il teologo don Lorenzo Lasagni, in occasione della presentazione del documento aggiungeva che “ un ragazzo educato così a scuola e in famiglia non viene aiutato: si rovina una persona”. Si legge ancora nel documento citato: “c’è stata una palese modificazione della verità: da festa religiosa, Halloween è diventata un prodotto commerciale basato sull’horror banalizzando argomenti sacrali come la vita, la morte e il rapporto con l’Aldilà”.

Secondo una recente stima della AIDAA (Associazione italiana difesa animali ed ambiente) sono circa 35 mila i gatti neri che in Europa vengono sacrificati mediante riti esoterici e satanici la notte di Halloween. Stiano tranquilli coloro che pensano che intendo qui rievocare una moderna caccia alle streghe. Nessun ritorno nostalgico ad un passato non certo luminoso nella storia della Chiesa.

Più semplicemente una riflessione sul senso della festività che secondo lo storico Franco Cardini “è l’espressione gioiosa dell’identità di una comunità”.
Quest’ultimo si pone in un atteggiamento decisamente critico verso un concetto di tradizione che la riduce a mera conservazione: “si conservano le cose morte o comunque definite – aggiunge lo studioso – la tradizione è viva, si esprime nella dinamica degli eventi e delle scelte”.
Il filosofo francese Mikel Dufrenne annotava nei suoi scritti: “affinché si possa veramente parlare di tradizione bisogna che il passato venga spontaneamente assunto come il senso stesso del presente, senza che vi sia discontinuità nel tempo sociale, senza che il passato appaia come cosa sorpassata”.
Ma è il cardinale e teologo p. Yves Congar a darcene, a mio avviso, la definizione più bella: “è quella presenza delle radici antiche e della loro linfa, nel presente in potenza del futuro. La tradizione è quel fluire della sorgente nel fiume, che lo fa scorrere in avanti”.

Queste importanti considerazioni ci aiutano a comprendere che la tradizione è continuità al di là del conservatorismo, è civiltà e progresso, al di là della pura e semplice continuità, a condizione che si faccia tesoro del già acquisito, perché questo ci faccia realmente compiere dei passi avanti verso il futuro. La tradizione, dunque, è memoria e fedeltà, mai servilismo nostalgico!

Francamente temo questa sorta di deriva post-moderna che contraddistingue la nostra epoca, con la sua incapacità di fare tesoro di ciò che lungo il corso dei secoli è stato già acquisito nelle varie espressioni culturali che spaziano dall’arte figurativa, alla poesia, alla letteratura, alla musica, alla fotografia, ed a molto altro. Fu papa Gregorio III (731741) a scegliere il 1º novembre come data dell’anniversario della consacrazione di una cappella a “San Pietro alle reliquie dei santi apostoli e di tutti i santi, martiri e confessori, e di tutti i giusti resi perfetti che riposano in pace in tutto il mondo”.

Ai tempi di Carlo Magno, la festività novembrina di Ognissanti era diffusamente celebrata. Il 1º novembre venne decretato una festività di precetto da parte del re franco Luigi il Pio nell’835. Il decreto fu emesso su richiesta di Papa Gregorio IV e con il consenso di tutti i vescovi. Questa, in estrema sintesi, la storia ultramillenaria della bellissima festività che celebriamo il 1° novembre, che ben si distingue da Halloween.

I santi che ricordiamo non sono una esigua casta di eletti, ma una folla senza numero, verso la quale la liturgia ci esorta a levare lo sguardo. In tale moltitudine non vi sono soltanto i santi ufficialmente riconosciuti, ma i battezzati di ogni epoca e nazione, che hanno cercato di compiere con amore e fedeltà la volontà divina, ove essere fedeli a Dio significa essere fedeli all’uomo, ad ogni uomo, ed al creato. Della gran parte di essi non conosciamo i volti e nemmeno i nomi, ma con gli occhi della fede li vediamo risplendere, come astri pieni di gloria, nel firmamento di Dio.

Il Manzoni osservava che nella solennità di Ognissanti la Chiesa festeggia la sua dignità di “madre dei santi, immagine della città superna”. Questa solennità ci prepara a vivere la commemorazione dei fedeli defunti magari recando un semplice lume che, come ricorda il Foscolo, è come rapire “una favilla al sole ad illuminar la sotteranea notte perché gli occhi dell’uom cercano morendo il sole”. Consapevoli che quel lume è segno della luce del Risorto, che illumina ogni tenebra ed accende ogni speranza.


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