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La sprecopoli del terremoto dell’Irpinia. Ecco le leggi, le ruberie e gli errori. In 33 anni
29 Nov 2013 06:47

Ore 19:34, la terra trema per ben 90 secondi, in una domenica di fine novembre più calda del solito, per tutta l’area preappenninica, che dalla Daunia si spinge fino alla Lucania ed Irpinia. Un angolo d’Italia quest’ultimo sconosciuto a tutti fino a quel 23 novembre di 33 anni fa; da quel momento in poi l’Irpinia è diventata la ‘terra del sisma’, non solo fisico ma anche il ‘sisma’ della coscienza tra affari e soldi spesi senza nessun criterio.

Quella tragedia colpì trasversalmente  la Campania centrale, la Basilicata e la Puglia. Caratterizzato da una magnitudo di 6,9 con epicentro tra i comuni di Teora, Castelnuovo di Conza e Conza della Campania, il sisma causò circa 280.000 sfollati, 8.848 feriti e 2.914 morti. Una tragedia senza precedenti che minò le basi dello Stato, troppo assente nella politica di prevenzione e di soccorso; da quei morti e da quelle rovine nacque, infatti, la Protezione Civile e una normativa più rigida in materia antisismica.

La ricostruzione fu, però, anche uno dei peggiori esempi di speculazione su di una tragedia; infatti, come testimonia tutta una serie di inchieste della Magistratura – per le quali sono state coniate espressioni come ‘Irpiniagate’, ‘Terremotopoli’ o il ‘terremoto infinito’ – durante gli anni si sono inseriti interessi loschi che hanno dirottato i fondi verso aree che non ne avevano diritto, moltiplicando il numero dei comuni colpiti: 36 paesi in un primo momento, che divennero 280 in seguito a un Decreto dell’allora Presidente del Consiglio Arnaldo Forlani nel maggio 1981, fino a raggiungere la cifra finale di 687, ossia l’8,5% del totale dei comuni italiani. Più di 70 centri sono stati integralmente distrutti o seriamente danneggiati e oltre 200 hanno avuti consistenti danni al patrimonio edilizio.

La ricostruzione nel tempo ha visto tante leggi e decreti che si sono avvicendate fino ad oggi. In un primo momento fu nominato il commissario on. Giuseppe Zamberletti, che con “l’ordinanza 80” prevedeva l’erogazione di un contributo onnicomprensivo di 10 milioni di lire, ma nel febbraio del 1981 si ebbe un altro sisma che andò a danneggiare ciò che Zamberletti aveva provveduto a bonificare. Lo Stato prese coscienza della situazione e ci fu un atto dovuto con l’emanazione della famosa legge 219/1981, seguirono la Legge Regionale 60/1985 e legge 12/1988. La legge 219/1981 se presa nella sua essenza era perfetta,  ma come ben si sa la mente porta sempre ad aggirare l’ostacolo e a trovare l’elemento normativo che possa favorire anche qualcosa di non giusto. In questa legge c’era anche largo spazio per la costruzione delle opere pubbliche, tuttavia i tecnici locali, cogliendo in ciò una ‘manna dal cielo’, hanno pensato a portare avanti situazioni private, lasciando i piccoli centri senza una programmazione di sviluppo infrastrutturale. La politica ha ‘giocato’ molto in tutto ciò, nella fattispecie  la colpa ricade sugli amministratori che hanno sfruttato per fini elettorali il flusso di denaro ed interessi senza neanche oltrepassare il confine della legalità, ma solo facendo credere ai cittadini di avere il potere di decidere se entrare in graduatoria o no.

Parlando di numeri e di somme tracciamo un itinerario tra i 14 comuni del ‘cratere’ foggiano che sono Accadia, Anzano di Puglia, Ascoli Satriano, Bovino, Candela, Castelluccio dei Sauri, Celle di San Vito, Deliceto, Faeto, Monteloene di Puglia, Panni, Rocchetta Sant’Antonio e Sant’Agata di Puglia; ad oggi – solo per dare il quadro completo della situazione – è opportuno da subito porre in evidenza che vi sono presso i comuni in attesa di finanziamento ancora moltissime pratiche, circa tremila per i 14 comuni, relative alla legge 219/81 alla legge 12/88 e Legge Regionale 60/85. Solo per i 14 Comuni della Puglia lo Stato ha erogato per la legge 219/81 circa 240.774.970.000 di lire; per la Legge 32/92 lo Stato aveva stanziato per tutti i comuni del cratere 4.300 miliardi; mentre per la Legge 32/92 sono arrivati nel territorio dei fondi a scaglione di cui nel 1994 circa 46.090.000.000, nell’anno 1995 la delibera Cipe prevedeva  36.270.000.000, tra i quali il Ministero tolse 3 miliardi a seguito degli eventi giudiziari dell’ottobre ’95 a Rocchetta Sant’Antonio, per poi successivamente riassegnarli. Difatti, grazie alla prima verifica ispettiva effettuata presso il Comune di Rocchetta Sant’Antonio il 9 febbraio del ’96 dalla dott.ssa Maria Teresa Bozzi, e verificata la bontà del lavoro svolto dai tecnici, il CIPE riassegnò la somma dei tremiliardi cautelativamente congelate.

Quindi nel ’96 arrivarono altri 5 miliardi di cui 3 per Rocchetta e due tra Monteleone e Sant’Agata. La seconda verifica ispettiva, effettuata nel territorio, sempre dalla condotta dalla Bozzi, evidenziò l’eccellente lavoro svolto dall’architetto Longo, elogiato pubblicamente tanto da spingere il CIPE ad assegnare  al solo comune di Rocchetta Sant’Antonio la somma di 2 miliardi per l’anno 1997. Ulteriori Fondi vennero assegnati nell’anno 1998 per circa 7 miliardi suddivisi  in 2 miliardi  per Ascoli, 2 miliardi  per Candela e 3 miliardi  per Rocchetta.

Nel 1999 un’altra pioggia di miliardi raggiunse  8 comuni su 14 appartenenti al cratere per circa 11 miliardi. A concludere l’ingente mole di denaro ci fu l’ultima tranche che chiuse definitivamente, almeno per il momento, l’erogazione delle somme per la ricostruzione, senza, però, completare il fabbisogno complessivo accertato ai soli fini della legge 32/92 . La 219/81 cercava di avviare uno sviluppo del territorio; vale a dire: per chi viveva in ambiti non adeguati al proprio nucleo familiare la legge consentiva di realizzare superfici più ampie rispetto a quelle originali. Laddove non fosse stato possibile realizzarlo in loco era possibile trasferire l’immobile in un’altra zona con una modalità molto simile alla permuta.

La ricostruzione ha cozzato con la mancanza di strumenti urbanistici che consentivano quest’operazione, trasformando molte aree dei nostri piccoli centri in veri scempi del cemento. Diversamente da quanto è successo nei terremoti dell’Umbria e del Molise, ed ora dell’Abruzzo ed Emilia, la ricostruzione del sisma irpino permetteva l’adeguamento fino a 110 metri quadri a nucleo familiare, con una dotazione 18 metri quadri a persona, con un minimo funzionale di 45 metri quadri, ossia nel caso di una coppia, invece di avere 36 metri quadri, la legge offriva la possibilità di aggiungere 9 metri quadri. La 219/81 ha avuto come unico handicap quello di dare soldi a fiume a tutti, nonché quello di dare finanziamenti a chi non era residente.

Il 23 gennaio del 1992 il legislatore, accorgendosi di questo spreco di denaro, tira i remi in barca, legiferando con la legge 32/92 una serie di accorgimenti per evitare questo e limitando solo ai residenti la possibilità di accedere ai finanziamenti. E qui nascono le tanto discusse graduatorie. La prima graduatoria ad essere redatta, e che aprì la strada agli altri comuni, fu quella di Rocchetta Sant’Antonio (Fg), che però ebbe la sfortuna di essere sottoposta ad indagini e il 17 ottobre 1995 scattarono gli arresti che coinvolsero i due sindaci e due tecnici. Il problema nasceva proprio dal fatto che, essendo Rocchetta comune pioniere, c’erano tutti i dubbi e le perplessità,  ad esempio il concetto di “prima abitazione” era tutto da chiarire e lasciato a libera interpretazione.

La Magistratura guardava a questo concetto come “prima abitazione” su tutto il territorio nazionale;  il Gip Simonetta D’Alessandro contestava agli arrestati proprio l’inserimento in graduatoria di nominativi con abitazioni altrove. Dal momento che come concetto di “prima abitazione” il legislatore nella Legge 32/92 non era molto chiaro, ma non parlava, tuttavia, di unica abitazione in maniera assoluta. Da quella lettura della Magistratura, molto probabilmente sbagliata, scattarono gli arresti.

Ad oggi sappiamo che non c’è stato assolutamente reato e che i fatti non sussistono,  tuttavia,  grazie a questa esperienza, iniziò un nuovo filone che portò ad una visita ispettiva a Rocchetta della Bozzi che chiarì molti concetti. Dopo un quesito inviato al Ministero, tutti prepararono le nuove graduatorie ma la paura non fece fare a nessuno il primo passo. Anche questa volta Rocchetta si trovò a ricoprire il compito di nave rompi ghiaccio e il 26 di febbraio del 1997 pubblicarono la graduatoria apri pista proprio nel Comune che segnò una linea di confine tra il vecchio e il nuovo; ciò nondimeno l’allora sindaco del paese ebbe paura di firmare, lasciando le responsabilità ad un tecnico chiamato appositamente per curare la graduatoria.


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