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Ora che ci sono i fondi, in Sicilia spuntano i centri anti-violenza
30 Ott 2014 07:14

Lunedì, con l’ultima tappa a L’Aquila, ho concluso il mio viaggio nei centri antiviolenza italiani.

Dall’inizio della legislatura, infatti, ho attraversato il Paese con #RestiamoVive per conoscere le storie e le operatrici dei centri antiviolenza da Sud al Nord. Ho visto da vicino il lavoro di tantissime operatrici che, tra mille difficoltà in cui si ritrovano ad operare, cercano di essere d’aiuto nel percorso di riappropriazione di sé di tante donne vittime di violenza.

È finito #RestiamoVive, ma il mio impegno continua. Da agosto, con l’entrata in vigore della Convenzione di Istanbul, l’Italia possiede un quadro giuridico completo contro la violenza maschile sulle donne. Strumento finora completamente ignorato dal Governo.

Il premier Renzi, probabilmente pensa di aver esaurito il proprio compito verso le politiche di genere inserendo alcune donne, le più fedeli tra l’altro, nel suo Governo ma si sbaglia di grosso.

I finanziamenti previsti dal cosiddettodecreto femminicidio, non ancora erogati, sono stati redistribuiti ad esempio non rispettando né criteri qualitativi né le linee guida della Convenzione.

Una gestione poco trasparente che per alcuni mesi ha tenuto addirittura fuori dal conteggio anche storici centri nazionali.

Con sorpresa infatti abbiamo scoperto che la Sicilia è piena zeppa di centri antiviolenza peccato non averli sentiti nominare mai prima del decreto.

Il Governo considera centri antiviolenza anche strutture generiche di accoglienza e nuovi centri regionali, senza profili di specificità di genere e che non rispettano standard di qualità europei. Lo diciamo da tempo: non bastano un avvocato e una psicologa per fare un centro antiviolenza. Piuttosto che pensare a potenziare la rete dei centri, il premier si dedica, come Berlusconi, all’introduzione di un nuovo bonus bebè per aiutare le donne: ma il Paese reale, quello che Renzi non conosce, soffre di mancanza di asili e di servizi per l’infanzia.

A Reggio Calabria, ora retta dal nuovo sindaco Giuseppe Falcomatà, ad esempio, migliaia di bambini sotto i tre anni non possono accedere ad uno dei servizi essenziali per l’educazione dei bambini.

Ciò perché manca una vera visione del futuro ed un Piano nazionale Asili.

Per quanto riguarda la prevenzione della violenza di genere, da tempo mi impegno per far discutere in Parlamento la proposta di legge, a mia prima firma, sull’introduzione dell’educazione sentimentale nelle scuole. Unico Paese l’Italia, insieme alla Grecia, a non prevederla nel proprio ordinamento scolastico. Dedicare un’ora del programma settimanale all’affettività, incrociando l’educazione sessuale e l’educazione civica. Tanti insegnanti sensibili stanno già dedicando parte delle loro lezioni ai temi della diversità, delle differenze e della demolizione degli stereotipi di genere. Ciò rappresenta una ulteriore conferma di come il Paese sia più avanti della politica. Ora serve sistematizzare gli esempi virtuosi e creare un percorso istituzionale chiaro. Governo e Parlamento sono pronti a questo passo? Sembrerebbe proprio di no.


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