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Trabocchi all’ultima spiaggia, Chieti lotta contro cemento e trivelle
29 Apr 2013 10:46

«L’ombrina? È un pesce di scoglio, pregiato… Tardo autunno, quello è il periodo migliore per prenderlo… Una volta si trovava, da queste parti, anche in abbondanza, ora è difficile… E lo sarà ancora di più se avverrà lo scempio. La piccola pesca, già nei guai, morirà. Ma questo nostro Adriatico… questo è un grosso canale, chissà se mai lo capiranno. L’hanno traforato in lungo e in largo…». Bruno Verì, di Fossacesia (Chieti) è un «traboccante»: gli piace essere definito così.

«Ombrina…», rimugina e scuote il capo. Lui vive sul mare, in quel lembo d’Abruzzo – la parte sud del territorio, in provincia di Chieti – definito Costa dei trabocchi per le sue antiche macchine da pesca, di legno d’acacia, sospese sull’acqua e unite alla riva da lunghe passerelle. Esse, attualmente trasformate per lo più in piccoli ristoranti estivi, macchiettano un litorale frastagliato e di raro incanto, che, a tratti invano, sta cercando di resistere all’aggressione del cemento. E, da un po’ di tempo, anche delle trivelle. L’ultima offensiva è stata autorizzata, grazie al cosiddetto Decreto sviluppo, dal ministero dell’ambiente, che, lo scorso 25 gennaio, conclusa l’istruttoria per la Valutazione di impatto ambientale e sanitario, ha dato parere favorevole alla realizzazione della piattaforma petrolifera ‘Ombrina mare 2′, del gruppo inglese Mediterrain Oil and Gas.

I pozzi nel sogno del Parco

L’approvazione giunta dal ministero dei beni culturali, attacca Angelo Di Matteo, presidente di Legambiente Abruzzo «è scandalosa. Blocca le rinnovabili ma acconsente a impianti petroliferi off shore».

Le perforazioni per prelevare il greggio dovrebbero avvenire, stando al progetto, a circa 6,5 chilometri dalle spiagge e a ridosso di un sistema di aree tutelate individuate da una legge regionale del 2007. Si tratta delle riserve, già esistenti, di Punta Aderci a Vasto e Lecceta a Torino di Sangro, e di altre di nuova istituzione: Grotta delle farfalle, nei comuni di Rocca San Giovanni e San Vito Chietino; Punta dell’Acquabella e Ripari di Giobbe ad Ortona e la Marina di Vasto. Zone protette che dovrebbero confluire, in blocco, nel Parco nazionale della Costa teatina, istituito nel 2001 ma che, tra faide partitiche, stenta a prendere forma. Da un lato, c’è un centrodestra che lo osteggia prepotentemente e dall’altro, un centrosinistra incerto e spesso attendista.

«Sono 12 anni – racconta Fabrizia Arduini, del Wwf – che si cerca, in qualche modo, di concretizzare il Parco. Liti, opposizioni, ricorsi di illegittimità costituzionale e norme che si scavalcano sono stati ostacolo insormontabile. Le divergenze sono sulla perimetrazione e sui divieti».

L’iter per la nascita del Parco si è impantanato, a causa anche delle società petrolifere che, nel frattempo, hanno messo le mani sull’Abruzzo. «Il ministro Scaiola – continua Arduini – per primo ha relegato l’Abruzzo a distretto minerario. Poi ci si è messo pure Passera. Ci mancavano gli idrocarburi… La salvaguardia della costa è diventata una necessità, per evitare ulteriori sfregi. Abbiamo, ad esempio, dovuto fermare, con una sollevazione popolare, l’arrivo del Centro oli, dell’Eni, ad Ortona. Poche settimane fa è scattato l’allarme per uno sversamento dalla piattaforma ‘Rospo mare’ di Edison, tra Vasto e Termoli. Episodio su cui indaga la Procura di Larino. Il Parco, in questi anni, è stato additato, da più parti, come barbarie, come impedimento, soprattutto per l’agricoltura. Ma non è così ed esso, in questa situazione, può rappresentare la salvezza».

Un impianto devastante

«Il progetto, portato avanti da Medoilgas Italia, con sede a Roma – afferma Alessandro Lanci, del movimento Nuovo senso civico – prevede due piattaforme, una mobile tipo Galloway per la perforazione di sei nuovi pozzi e una fissa che andrà a posizionarsi sul tripode del pozzo ‘Ombrina Mare 2′, già completato nell’estate del 2008. Dalle stime effettuate dovrebbero essere tirati fuori, complessivamente, venti milioni di barili di petrolio amaro, qualitativamente tra i peggiori. Un prodotto che richiede la desolforazione prima di essere trasportato e raffinato. Per ciò a circa 4 chilometri dalla costa si posizionerà una nave, per il primo trattamento del greggio succhiato dal sottosuolo, denominata Fpso: Floating Production Storage Offloading. Si tratta, in pratica – evidenzia ancora Lanci – di un centro oli galleggiante, con una fiamma sempre accesa e che rilascerà in atmosfera più di 8 tonnellate di fumi all’ora». La nave di stoccaggio è di 350 metri lunghezza. Il petrolio estratto a 2100 metri sotto i fondali, nell’arco dei 24 anni, tanto sarà la durata del giacimento, da stime coprirebbe il fabbisogno nazionale per circa dieci giorni e quello del gas per un giorno scarso. «Da noi – aggiunge Enrico Graziani, ex senatore comunista – rimarranno, come souvenir, ossido di zolfo, ossido di azoto, ossido di carbonio e idrogeno solforato, classificati come cancerogeni dall’Organizzazione mondiale della Sanità. Qui resteranno i residui dell’incenerimento di ben 200 tonnellate al giorno di materiale di scarto».

La Medoilgas sostiene che le emissioni saranno 27 volte sotto i limiti di legge. «Ma dimentica di precisare – puntualizza Lanci – che i limiti vigenti nel Belpaese sono seimila volte più permissivi di quelli raccomandati dall’Oms». Le royalties per l’Abruzzo? «In un tg regionale i vertici Medoilgas alle 7.30 di mattina hanno parlato di 700 milioni di euro nell’arco di un quarto di secolo, balzelli inclusi. Nell’edizione delle 14 dello stesso telegiornale sono saliti a un miliardo. Ma la Regione Abruzzo per i 500 pozzi già esistenti, nel 2011, dai dati del ministero dello Sviluppo economico, ha incassato 254.899 euro e 33 centesimi, una miseria. Dunque, no agli ombrelloni con vista raffineria». «Un fulmine sul futuro, di ciò si tratta.

Un futuro che auspico più sostenibile e meno impattante»: è perentorio il sindaco di Vasto, Luciano Lapenna, che ha già attivato i propri uffici legali.
All’opera, contro ‘Ombrina mare 2′, anche parecchie altre amministrazioni comunali. Quella di San Vito ha chiesto la «costituzione di un’unità di crisi». Riunioni straordinarie e consigli ovunque per deliberare contro e ricorrere alla magistratura.

«La politica faccia in fretta, ma era stata allertata», evidenziano gli esponenti del Coordinamento No Triv. «Nell’estate 2012 – ricordano – abbiamo spedito centinaia di lettere in cui chiedevamo di non votare il Decreto sviluppo, poi passato, perché andava a modificare la legge Prestigiacomo che vietava la ricerca e la coltivazione di idrocarburi entro cinque miglia dalla costa.
Le nuove norme sanciscono il divieto di perforare ed estrarre gas e petrolio «entro dodici miglia dalle linee di costa, ma salvano i procedimenti in essere e quelli che erano stati annullati dalla legge precedente, ‘Ombrina’ inclusa». Così è arrivato questo dono, alla regione verde d’Europa, da parte del governo Monti e dei suoi alleati, Pd, Pdl, Udc. Prima l’indiretto sì dei parlamentari ad ‘Ombrina’, ora l’indignazione, persino della Regione Abruzzo. Che adesso sta sul piede di guerra, anche se il governatore Gianni Chiodi non riesce a spiegare perché, nei mesi passati, la Regione non abbia risposto al ministero che la invitava, per la Valutazione di impatto ambientale, «ad esprimere il proprio parere di competenza». Silenzio valso come assenso al progetto. Il Wwf ha tirato fuori ben due richieste ministeriali, protocollate e mandate alla direzione Parchi e ambiente della Regione, a L’Aquila. Di esse non c’è traccia, in alcun ufficio: così sostiene Chiodi. «Nessun sollecito è mai pervenuto». Da qui la «non risposta». «Abbiamo dimostrato che le comunicazioni che risultano ‘ignote’ esistono -, dice il presidente del Wwf Abruzzo, Luciano Di Tizio -. Si tratta di un fatto inquietante su cui far luce il prima possibile».

«Salvate i luoghi di D’Annunzio»

È mobilitazione contro quello che la ricercatrice abruzzese Maria Rita D’Orsogna, che lavora in California, definisce «il peggior progetto petrolifero nel Mediterraneo occidentale». «Tecnologie antidiluviane e riciclate, pericoli in agguato, sistemi di monitoraggio inaffidabili. Bisogna stoppare ‘Ombrina’ – è convinto l’ingegner Tommaso Giambuzzi, esperto internazionale del settore -. La concessione non è stata ancora rilasciata – fa presente – e può essere negata, per motivi di ordine economico e sociale». «Un attacco letale», lo definiscono i Cobas. E i vescovi della Conferenza episcopale abruzzese e molisana, tramite don Carmine Miccoli, sono scesi in campo: «Fermate ‘Ombrina mare’, ogni progetto petrolifero e di sfruttamento selvaggio della natura. Difendete il creato, per il bene comune e la salute».

Orlando Verì, di Rocca San Giovanni, mette in secco la barca e le reti. «Sono uscito all’alba – riferisce – e ho riportato un rombo, qualche sogliola e pochi cefali. Faccio il pescatore da che ero un ragazzino e ora ho 55 anni. Mio nonno Orlando ha costruito cinque trabocchi, mio padre Masino, 91 anni, ha vi ha trascorso la sua esistenza. ‘Ombrina’ sarà distruzione. Il nostro mare va aiutato, servono piccole oasi per il ripopolamento dei pesci, non catrame. Da sempre invochiamo uno sviluppo turistico: è il momento delle azioni. E poi – e indica un punto poco distante – lì c’è il Capo del Turchino, c’è il Promontorio delle ginestre: sono i posti di D’Annunzio. E oltre, sulle colline, ci sono i vigneti, di Montepulciano. Che ce lo scordiamo?».

Foto di Joseph Lonardo


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