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Gabriele Lavia, Taormina Arte: «Non far morire questa esperienza»
07 Feb 2016 10:05

Lavia e il suo bagaglio culturale – C’era una volta l’età dell’oro di Taormina Arte, quando Gabriele Lavia, noto regista e attore, era direttore artistico della sezione Teatro. Un personaggio unico, uno dei più grandi che hanno contribuito alla crescita del Comitato e alla grandezza del nome di Taormina in tutto il mondo. Le giovani generazioni, quelle più distratte, lo conosceranno per qualche interpretazione cinematografica, ma gli amanti della cultura, dell’arte e chi è appassionato di Teatro, non possono non conoscere il maestro Lavia. La sua voce affascinante, profonda come la sua anima. Il suo sguardo appassionato, la sua saggezza “ellenica” coltivata negli anni tra esperienze intellettuali e altri momenti di grande successo. Gabriele Lavia appartiene a quella generazione di registi-attori che hanno fatto tutto nella loro carriera: Teatro, cinema, televisione. Lavia possiede un incredibile bagaglio culturale, un carico notevole che ha “costretto” il maestro a lasciare qualcosa fuori dalla sua valigia di artista. E qualche “oggetto” è stato donato alla città di Taormina, che ha custodito quel prezioso testamento artistico che risale all’esperienza di Gabriele Lavia a Taormina Arte.

Il sogno di Pirandello a Taormina e gli anni in cui la città viveva per il Teatro – Gli anni in cui il maestro Lavia ha frequentato Taormina, sono stati momenti felici. Il celebre attore ricorda con piacere l’amicizia con l’avvocato Ninni Panzera, «è un mio carissimo amico con cui abbiamo lavorato diversi anni fa a Taormina, con grande passione e coraggio». Si intuisce, nonostante gli anni trascorsi, che il legame è forte. È così intenso che ancora il maestro Lavia ricorda l’ultimo progetto (non realizzato) con il Segretario generale di Taormina Arte: «Ricordo che l’ultima cosa che abbiamo immaginato con Ninni Panzera, l’ultimo anno in cui mi trovavo a Taormina, era il grande progetto di Pirandello. Partire dai “Giganti della Montagna”, dramma incompiuto per la morte di Pirandello, e fare come ultimo atto “La favola del figlio cambiato”. È rimasto un sogno, ma vai a sapere…Si potrebbe ancora fare», ha detto Gabriele Lavia animando la fantasia e la speranza di chi vorrebbe rivederlo a Taormina. Ma gli anni del maestro nella Perla dello Jonio sono anche quelli quando ha messo in scena Riccardo III (in un’intervista rilasciata a “Repubblica” nel 1989 definì lo spettacolo «pura pazzia. L’ allestimento è molto oneroso, il testo problematico, non è una tragedia, ma una vera e propria cronaca»), Amleto, Il duello di Kleist (in un’intervista rilasciata al “Corriere della Sera nel 1993, Lavia aveva messo in evidenza uno stretto legame con Tangentopoli) e «contemporaneamente abbiamo fatto tredici nuove messe in scena di novità italiane, di drammaturgia contemporanea». Lavia pensa alla “sua” Taormina, quando «la notte al Giardino comunale leggevamo “I racconti del terrore” e nel pomeriggio c’erano i clown che facevano gli spettacoli per i bambini. Tutta la città viveva per il Teatro. È chiaro che qualche spettacolo aveva più successo di altri. La drammaturgia contemporanea non aveva un grande seguito, veniva fatta in tempi non sospetti quando ancora non c’era la moda di “fare la drammaturgia contemporanea”».

Il Teatro antico e la sua vocazione originaria – Gabriele Lavia fa parte della storia di Taormina, ma non è soltanto amarcord. È errato considerarlo come una personalità del passato da raccontare ai posteri. Il maestro, nonostante tutto, mantiene un forte legame con la città siciliana. Quando gli chiedo un suo pensiero sulla vicenda di Taormina Arte, senza entrare nel dibattito politico, Gabriele Lavia pensa subito alla «decadenza di Taormina». E quando si affronta una crisi, un momento di difficoltà, di solito, si guarda oltre la linea dell’orizzonte. Si dirige lo sguardo verso il futuro, ma non potremmo compiere questa azione senza basi solide che si sono rafforzate nelle epoche passate. L’albero cresce e da nuovi frutti grazie alle radici decennali, che affondano la loro storia nella terra. Lo stesso discorso potrebbe essere fatto per Taormina e infatti Lavia parla di Teatro, ricordando l’origine fondante di questa città, la sua essenza, il suo spirito che non può essere ignorato e modificato in maniera superficiale: «Quel Teatro che viene chiamato greco-romano è un Teatro. Pertanto la sua vocazione originaria è quella di essere Teatro. Da questa vocazione, che nasce da una storia antica, profonda e importante dell’uomo, non ci si deve allontanare, non bisogna abbandonarla, perché vorrebbe dire rovinare la propria storia. E come se improvvisamente a Epidauro non si facessero più le tragedie, ma il musical. Che ne penserebbe Apollo? Credo ci resterebbe piuttosto male. Anche il cinema può andare bene, ma la realtà di Taormina è il Teatro greco-romano. E quindi c’è un dovere storico, ovvero umano, affinché questo patrimonio (ricordo che patrimonio vuol dire “il dono dei padri”) non venga perduto, sprecato, gettato via».

«Noi apparteniamo a Taormina, non Taormina a noi» – E allora viene in mente l’esclusività, la necessità di recuperare l’essenza artistica e culturale del Teatro, che negli ultimi anni è stata ridimensionata in diverse occasioni. Le parole di Lavia sono destinate a lasciare il segno, perché si tratta di pensieri di un uomo che, nel corso della sua vita, ha rifiutato diverse proposte cinematografiche per dedicarsi in toto al Teatro. «Il Teatro è l’essenza dell’uomo», ama ripetere Lavia. Quest’anima, però, deve essere curata. E per farlo, ricorda il regista, «bisognerebbe che ci fosse un impegno da parte degli amministratori di Taormina». Questa, sottolinea Gabriele Lavia, «è una città unica al mondo. Taormina è come Kyoto in Giappone. C’è un’altra Kyoto nel mondo? No. C’è un’altra Taormina nel mondo? No. Questo è un dono che è stato fatto a noi e dobbiamo custodirlo e la cultura, che in fondo vuol dire coltivazione, coltiva il bene dell’uomo, ovvero il suo essere che viene custodito nell’arte. Che cos’è questo dono, se non la memoria di quello che l’uomo è ed è stato? Per questo le muse hanno una sola madre che si chiama Mnemosine, che vuol dire “memoria”. Ma noi possiamo dimenticarci di questo? Possiamo dimenticare che Taormina è un dono? Noi apparteniamo a Taormina, non Taormina a noi. Così come Roma non è nostra, ma noi siamo di Roma. Non possiamo usare le cose come se fossero nostre, distruggerle».

«Un errore far morire l’esperienza di Taormina Arte» – L’amore di Gabriele Lavia emerge dalle sue parole per un luogo che gli ha suscitato emozioni indimenticabili. Il maestro, infatti, ricorda che Taormina è una città rimasta anche nel cuore delle sue figlie: «Le mie figlie mi dicono sempre, tutti gli anni: “Papino, papino quand’è che ci riporti a Taormina?”. Ormai hanno 26 e 22 anni, ma non hanno dimenticato questa città». L’eccezionalità di Taormina, il brand della terrazza che si affaccia sul mar Mediterraneo passa anche dagli spettacoli e dalle esperienze di Gabriele Lavia: «Taormina è famosa nel mondo, la Sicilia è famosa nel mondo, ma Taormina e la sua storia sono molto molto importanti». Infine il regista, per quanto riguarda la vicenda Taormina Arte, ha voluto inviare un messaggio di solidarietà ai dipendenti del Comitato e spera che questa esperienza non “muoia”: «Non saranno le mie parole che potranno far cambiare le decisioni che sono state o verranno prese, ma posso dire ai dipendenti di Taormina Arte che sono vicino a loro e spargerò qualche lacrima, però credo sarebbe meglio non far morire questa esperienza, sarebbe un errore. La storia ci insegna che le cose vanno sempre peggio, almeno per una volta contraddiciamo questa logica tutta italiana. Facciamola andare meglio».


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