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Dalla Calabria a Torino, coerentemente
22 Ott 2015 16:00

La sua casa era di fianco ad un grosso collettore fognario. Un ex ricovero per animali convertito in abitazione. Viveva lì con i genitori ed un piccolo fratello. Il suo lavoro, a sedici anni, era quello del padre: facchino. Caricava i sacchi di farina o di cemento sulla spalla e li tirava giù dal camion per riporli nel deposito. Dal lunedì al sabato, con ogni tempo.

Come il padre, quando il lavoro terminava, andava al bar per spendere un quarto di paga in birra. Birra normale, ma tanta. Alla fine della serata usciva sistematicamente ubriaco e si esponeva ai lazzi e le vessazioni di ragazzacci, che lo attendevano sulla via del ritorno.

I lazzi, infatti, spesso sfociavano in altro.

V’erano tre o quattro tipacci, suoi coetanei, che si divertivano in un gioco. Ovvero, quando lo vedevano particolarmente caracollante, si sfidavano a chi riusciva a farlo cadere sferrandogli, da dietro, un pugno all’altezza dell’orecchio.

Era una gara che si svolgeva per tutta la durata di una strada.

Chi riusciva ad atterrarlo, vinceva una birra pagata dagli altri.

Un gioco efferato, di cui Tonino, ne faceva spesso le spese in senso di normalità diffusa. A nessuno era mai venuto in mente di chiamare i Carabinieri, o di segnalare la cosa. E non certo per omertà, ma solo perché non interessava a nessuno che il figlio del facchino, sempre ubriaco, fosse sottoposto a quella crocifissione.

Eppure si viveva in un paese cattolicissimo. Con le chiese sempre affollate ad ogni ora ed esagerate per numero. Con gli abitanti che facevano sovente il segno della croce durante la giornata. Con il parroco che riceveva doni consistenti per la chiesa. Con statue di Madonne e Gesù che apparivano in cappelle votive in ogni angolo.

Ma né la legge di Dio, né quella degli uomini, veniva scomodata per Tonino: il figlio del facchino sempre ubriaco. Ed ignorante, ignorante anche per un ignorante.

Un giorno Michele ricevette la cartolina per il servizio militare, in quegli anni obbligatorio.

Egli parti, tra l’indifferenza della famiglia e quella del paese.

Tornò dopo un anno e sembrava un altro uomo. Parlava in modo più sensato e articolato, conosceva minimamente l’esistenza del diritto e quindi delle leggi, capì che qualcuno doveva tutelarlo. Non sapeva che si chiamava Stato, ma che comunque nessuno poteva fare di lui ciò che voleva.

Il padre gli indicò i nuovi datori di lavoro e lui si recò da essi con nuova dignità. Anzi, con una dignità.

Uscito dal primo giorno di massacrante lavoro, andò al bar e prese un’aranciata e un succo di frutta. Poi uscì e all’imbocco della solita e famigerata strada del gioco maledetto, trovò ad attenderlo un gruppo di ragazzi, tra cui i quattro aguzzini.

Rimasero meravigliati nel vederlo ebro, ma uno di essi si avventò alle sue spalle e gli assestò uno schiaffo secco all’altezza dell’orecchio. Il gioco era ripreso comunque.

Franco si girò di scatto e cercò di colpire con un pugno il suo aggressore. Ma questi sgusciò via con grande velocità.

“Ma come ti permetti? Che hai fatto? Ora chiamo i Carabinieri!”

E tutti si misero a ridere. Michele detto “Sdenga” che si ribellava e parlava di Carabinieri, era fatto inconsueto e fonte di ironia.

“Sdenga, ma che t’ha preso? Ti sei montato la testa?”

“Chiamo i Carabinieri! Queste cose non si possono fare! E’ vietato!”

“E’ vietato?”

Provarono a colpirlo per altre due volte. Poi smisero. Non era ubriaco, non si divertivano.

Proseguendo nel cammino, Tonino incrociò il direttore didattico delle scuole elementari, che ben lo conosceva.

Davanti a quello che lui considerava un’autorità, si fermò e rispose correttamente alle domande che gli vennero poste.

“Considerato che sei vissuto un anno fuori del paese ed hai fatto una vita diversa, perché non continui? Perché non te ne vai a Torino dove ci sono tanti compaesani?”

Il direttore si riferiva ad un paese in provincia della città sabauda, dove vi era una vera colonia del paese. Tutta gente emigrata dal 1950 in poi.

“Ma papà e mammà che dicono poi? Li lascio soli?”

“Ma tu devi pensare a te. Qui tutti ti trattano male. Ci parlo io con i tuoi genitori”

E così fece.

Dopo qualche sera, a casa di Tonino, c’era convegno.

“Ha detto il direttore che tu devi partire. Devi andare a Torino, dove stanno i nostri compari, e anche il mio cugino carnale e tanti compaesani. Io il permesso te lo do’ pure, ma tu li mandi i soldi? Come facciamo a campare noi tre che rimaniamo qui? La mia mesata non basta!”

“Papà io i soldi te li mando. Mi tengo un po’ per me e poi vi mando tutto a voi. A Pasqualuccio non ci mancherà niente. Se poi mi va male con il lavoro, me ne torno.”

Presero accordi e partì.

Nel paese alle porte di Torino trovò ad accoglierlo il cugino del padre, avvertito con una sola telefonata, nemmeno troppo loquace.

Questi gli trovò lavoro presso un commerciante, come ragazzo a servizio.

Dopo circa un mese, il cugino, chiese al negoziante come andava il suo parente.

“Sono veramente contento. Da quando c’è lui mi si è alleggerito il lavoro. Lavora per due o tre persone. Ma una cosa la devo dire. Questo giovane non mi sembra una persona…..ma da l’impressione di…. un servo….uno schiavo. Scusate se sono un po’ brutale ma a me dispiace che lui sia così……… dispiace a me ed a mia moglie. Ma lui si comporta come uno schiavo!….. Esegue tutto senza mai discutere gli ordini. Se lo invito a mangiare qualcosa a tavola con noi, lui rifiuta, prende il cibo e lo va a mangiare per le scale. Quando esco mi apre la porta, quando ho un pacco tra le mani me lo sottrae e lo porta lui, se ha fame non lo dice, anche se ha sete. Se deve andare al bagno resiste. …..Io e mio moglie a volte siamo sconcertati. Noi non vogliamo sfruttarlo. Noi non vogliamo sfruttare nessuno!”

“Mi ascolti, quello era l’unico modo per sopravvivere ed è diventato il suo vivere. Per lui quel comportamento non è servitù ma è rispetto.”

“Rispetto?”

“Rispetto per chi gli da’ la paga e non lo sfrutta.”

“Non lo sfrutta?”

Continui così il tempo sanerà tutto.

La sera Tonino chiese ansioso al cugino del padre: “Allora….mi tengono a servizio? Vado bene?”

“Vai bene, vai bene, ti tengono.”

“Dimmi la verità! Perché se c’è qualcosa che non va io posso impegnarmi di più! Posso essere a servizio ancora di più!”

“Continua a lavorare. Il tempo sanerà!”

Tonino stette a riflettere su quella frase per mesi. Lui sentiva si sentiva sano come un pesce.


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