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Caso Lea Garofalo, il ‘pentito’: “Delitto di ‘Ndrangheta”
29 Apr 2013 11:20

“Mi assumo la responsabilità dell’omicidio di Lea Garofalo”. A Milano la musica è cambiata. La ‘strategia’ utilizzata per il primo grado di giudizio (la I Corte d’Assise di Milano, lo scorso 30 marzo, ha condannato all’ergastolo Cosco Carlo, Cosco Giuseppe detto ‘Smith’, Cosco Vito detto ‘Sergio’, Curcio Rosario, Venturino Carmine e Sabatino Massimo) è stata completamente stravolta. I resti del corpo, della giovane Lea, sono stati ritrovati.

Nell’aula della I Corte d’Assise d’Appello non si può continuare a parlare di fuga d’amore, di Australia, di una donna fuggita all’estero. Ci sono delle responsabilità chiare, precise. Per gli ergastolani è iniziata una nuova partita. Decisiva. Vogliono giocare le loro carte. Ha iniziato Carlo Cosco, l’ex convivente di Lea. Il padre di Denise. Parla di un omicidio “non ordinato dal clan”. Un paio di pugni mortali per un ‘raptus’ improvviso (“Non l’ho strangolata, dopo che le ho dato due pugni aveva già perso conoscenza, quando ha picchiato la testa per terra, secondo me, era già morta e ha iniziato a perdere sangue”). Nessuna pianificazione, secondo la strategia dell’uomo. Solo un ‘raptus’. Come il tentativo di sequestro di Campobasso del 5 maggio 2009. I pedinamenti, gli appostamenti, le pressioni, le ricerche, le minacce. Tutto organizzato nel tempo, con lucida freddezza. Il piano criminale nasce agli inizi degli anni 2000.

È lo stesso Carlo Cosco che, in carcere, chiede aiuto ai suoi amici ‘ndranghetisti. Per colpire una giovane donna, una madre coraggio, che non aveva abbassato la testa, che aveva denunciato e collaborato con i magistrati dal 2002 al 2009. Una fimmina ribelle, Lea Garofalo, che ha avuto la forza e il coraggio di dire ‘no’. Ad alta voce. Nel suo ambiente criminale, nella sua famiglia di ‘ndrangheta. Nella prima udienza (9 aprile 2013), il boss vigliacco ha letto una lettera, ha ostentato la sua prepotenza, la sua arroganza (“Mi assumo la responsabilità dell’omicidio. Guai a chi sfiora mia figlia”). Ha lanciato gesti e messaggi verso qualcuno, verso l’esterno.

Nei mesi scorsi ha ‘avvertito’, con una lettera, anche il collaboratore di giustizia Luigi Bonaventura, detto ‘gnegnè’. L’ex ‘ndranghetista legato alla cosca Vrenna-Bonaventura. Per il pentito calabrese, che a Termoli denuncia la scarsa protezione dello Stato (“subisco molte pressioni malavitose. Ci sono talpe nel servizio centrale di protezione, ma voglio continuare a collaborare”), il cambio di strategia dei Cosco è chiaro e sulla natura dell’omicidio non ha dubbi: “uno dei più atroci e più vigliacchi che viene attribuito alla ‘ndrangheta. Carlo Cosco è diventato un boss di altissimo spessore”.

Nell’ottobre scorso Carlo Cosco (‘ndranghetista, condannato all’ergastolo per l’omicidio della sua ex compagna), con una lettera, fa sapere che deve smetterla di ‘sciacallare’ sulla sua vicenda, sulla drammatica storia di Lea Garofalo.
Lui prende lo spunto, per quanto riguarda la sua vicenda, per lanciarmi dei messaggi.

Che tipo di messaggi?

Sono quelli di smetterla di arrampicarmi sugli specchi verso lo Stato. Gli stessi messaggi che mi dette all’inizio, quando mi hanno abbordato la prima volta, il finto pentito Francesco Amodio, dopo otto mesi che ero a Termoli. Stava cercando di portarmi in una trappola. La stessa musica, è quello il nastro. Mi ha minacciato lui (Carlo Cosco, ndr) perché ha fatto il gioco della ‘ndrangheta. Mi ha minacciato lui perché era già un ergastolano. Mi ha minacciato lui perché era l’emblema, questa è la mia interpretazione e ci metterei la mano sul fuoco, di cosa la ‘ndrangheta fa a un pentito. Non è stato scelto a caso Carlo Cosco. Il discorso di Lea Garofalo è stato soltanto un pretesto. È normale che lui abbia trovato interesse per cercare di fare spegnere il più possibile i riflettori sul suo caso.

Da chi è stato mandato?

Dalla ‘ndrangheta. Per farmi capire di smettere di arrampicarmi sugli specchi e di ritornare a quella che la ‘mamma’ mi ha proposto, di ritornare con loro, di lasciarmi corrompere. Di non andare oltre. Il messaggio era quello, un ulteriore avvertimento.
Come il proiettile nella cassetta postale dell’attuale ‘abitazione protetta’ di Termoli?
A giugno del 2012 arriva un altro messaggio intimidatorio, il proiettile che mi fanno ritrovare nella cassetta della posta con un’immagine della Madonna.

Il significato?

Non ti resta che pregare. Quando noi mandavamo il rosario con dei proiettili il significato era: ‘non ti resta altro che pregare’. Sanno dove sono.
L’ergastolano Cosco, nella missiva, scrive: “Non ho mai conosciuto Bonaventura e ritengo ingiusto che lui, non conoscendomi, debba sciacallare sulla mia vicenda. Inoltre deve smetterla di succhiare il sangue allo Stato arrampicandosi sugli specchi”.

Lei ha conosciuto Carlo Cosco?

No, non credo. Non sono certo di aver conosciuto Carlo Cosco. Però potrebbe anche essere.

Ha conosciuto la famiglia ‘ndranghetista dei Cosco?

Sì, certo. In particolar modo Giuseppe Cosco (detto Smith, ndr), l’ho conosciuto nel ‘91/’92 in un’occasione.

Quale?

Mio zio (Gianni Bonaventura, ndr) era latitante, all’epoca reggente della famiglia Vrenna-Bonaventura, e venivamo ospitati dalla cosca Nicoscia-Papaleo, un braccio armato della famiglia Arena. C’è stato un periodo in cui i petilini si sono occupati della latitanza di mio zio, sempre per conto della famiglia Nicoscia-Papaleo. Non c’erano solo legami di affiliazione, ma c’era pure una parentela con Cecè Corda, il destro di Pasquale Nicoscia.

Chi è Giuseppe Cosco, detto Smith?

Come lo conosco io, un affiliato in tutto e per tutto alla ‘ndrangheta. All’epoca c’era Vincenzo Comberiati, il capo di Petilia Policastro (Crotone), c’era il Castagnino, se non ricordo male c’era pure un certo Curcio. Stiamo parlando di un’organizzazione criminale del tipo ‘ndranghetistica e della più feroce e agguerrita, come ne parlano le storie. Della vicenda di mio zio non si sarebbe occupato uno Smith qualsiasi, ma una persona di considerevole spessore ‘ndranghetistico.

La sua ‘famiglia’ ha fatto affari con i Cosco?

Con la famiglia Cosco sono stati questi i rapporti. Oltre alla latitanza di mio zio ci sono state altre situazioni con Vincenzo Comberiati e, all’epoca, Smith era con Vincenzo Comberiati.
Vincenzo Comberiati, cugino di Antonio Comberiati (detto il ‘lupo’), ucciso in viale Montello a Milano. So benissimo chi è Antonio Comberiati, il ‘lupo’ e so dell’astio feroce che c’era anche con Vincenzo Comberiati. Per la leadership. So che chi voleva morto Antonio Comberiati era il cugino Vincenzo. E guarda caso i Cosco si trovano ad essere affiliati di Vincenzo. Credo che l’omicidio di via Montello sia stata opera pure dei Cosco.

Lei ha conosciuto la famiglia di ‘ndrangheta Garofalo?

La famiglia di ‘ndrangheta Garofalo la conosco da quando ero un ragazzino. Con questa famiglia cominciammo ad essere in faida, loro si trovavano in una feroce e terribile faida con i Mirabelli, che sono sotto la nostra ala. Noi fiancheggiammo i Mirabelli contro i Garofalo, fino a quando questa faida si attenua. Con Floriano Garofalo mi trovo di nuovo ad avere buoni rapporti. Rimango in legami forti perché lui era strettamente legato a uno che non solo era un mio alleato ma era pure come un fratello, Luca Megna.

Chi era Floriano Garofalo, detto ‘fifì’?

Un uomo di spessore, appartiene ad una delle famiglie più storiche a Petilia. Per me era un capo. Non era meno di Vincenzo Comberiati.

Quali affari ha fatto con Floriano Garofalo?

Sempre curati da Luca Megna. C’erano dei rifornimenti di sostanze stupefacenti, in particolare cocaina, pure eroina, marijuana. Questo era il legame. Quando ammazzarono Floriano la batteria di Luca Megna partì per la frazione Pagliarelle e Petilia, scendendo nei bar con un passamontagna in testa e Ak47 nelle mani. Pronti ad ammazzare chiunque si fosse trovato dalla parte opposta per vendicare Floriano. Da questa posizione di vendetta mi defilai perché in certe faide non volevo entrarci. Avevo dei buoni rapporti sia con la famiglia Megna-Dragone-Arena e sia con i Grandi Aracri.
Nel processo di appello Carlo Cosco si è assunto la responsabilità dell’omicidio. Si vede spacciato, non ha più alternative. Cerca di fare passare questo omicidio per un omicidio passionale. Soprattutto per scagionare i fratelli e gli altri. Discolpa pure la stessa ‘ndrangheta, per un omicidio ormai considerato uno dei più atroci e più vigliacchi che viene attribuito alla ‘ndrangheta.

Che peso ha oggi nella ‘ndrangheta Carlo Cosco?

Di altissimo spessore. Al ‘tavolo formato’, senz’altro, nessuno può dirgli nulla. Ha dimostrato una delle prove più ardue che un uomo di ‘ndrangheta può dimostrare. Recuperare l’onore, ammazzare la moglie, la mamma di sua figlia. Lo sta facendo anche per salvare Denise. Lui si assume la responsabilità, dice in pubblico ‘guai chi tocca mia figlia’.
Lui dice: “io adoro mia figlia, merito il suo odio perché ho ucciso sua madre. Guai a chi sfiora mia figlia…”. Non è in pericolo dal padre, per gli altri dell’organizzazione criminale si. Sta facendo prendere gli ergastoli. Potrebbe essere. Ha lanciato un messaggio all’organizzazione ‘guai a chi sfiora mia figlia’, in cambio di tutto quello che abbiamo visto nei giorni seguenti.

In cambio di cosa?

Dell’accettazione dei patti. Per una situazione che a lui serve per prepararsi il processo e per discolpare gli altri. Porta la giacca sulla spalla per fare capire che ha le spalle coperte, sta a rappresentare il manto dell’onore o il manto di misericordia per la figlia. Fa altri gesti emblematici: si tocca l’orecchio, l’occhio e la bocca.

Per dire cosa?

Il messaggio che ha voluto lanciare fuori è ‘non sento, non vedo, non parlo. State tranquilli’.
Lea ha subito un tentativo di sequestro a Campobasso. Nella stessa Regione dove lei è sotto protezione. In alcune interviste ha parlato di ‘mandamento occulto’ della ‘ndrangheta in Molise, che significa?

Un mandamento invisibile in mano alla ‘ndrangheta, dove c’è una ‘ndrina. Composta dai Ferrazzo, Francesco Amodio e altri soggetti che sono a due passi (dalla sua abitazione, ndr). Sempre agli ordini della ‘mamma’. Il Molise è un territorio franco, dove tante cose possono accadere, sono accadute. Girano tanti affari. Aniello Bidognetti (esponente della camorra, ndr) viene catturato a Termoli, si sfiora la cattura di Setola (killer dei casalesi, ndr). Traffico di droga, di armi. La Daewoo piena di armi trovata nel magazzino a duecento metri da casa mia, l’eolico, le slot machine, l’usura. Non a caso il Molise è ai primi posti come tasso di usura.


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