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A Castelvolturno la solidarietà non è morta
28 Ott 2014 05:43

Ecco un intervento dell’ex sindaco di Castelvolturno Mario Luise sul tema dell’emergenza immigrazione.

Poiché sono stato sindaco di Castelvolturno, non posso scrivere dei problemi legati all’immigrazione come un osservatore esterno e occultare la mia esperienza in merito. Spero che serva al dibattito in atto oggi. Dirò, allora – senza volere essere un esempio – che ho affrontato anch’io il problema degli extracomunitari, ma sempre con l’animo in tumulto. Ho cercato, ogni volta, di salvaguardare sia i diritti dei cittadini residenti, che la solidarietà umana. Alla quale non avrei mai rinunciato. Ho fatto, per quanto possibile, del mio meglio, pur sapendo che il mio era il ruolo di un sindaco e non del capo delle forze dell’ordine. Ma soprattutto ero, come sono, anche consapevole che il territorio è stato da sempre un approdo ideale per gli extracomunitari, e che naturalmente si offriva al ricovero e alla clandestinità. Dove altro avrebbero potuto trovare tante case a disposizione? C’era – e c’è – in questo, una nostra grande responsabilità. La presenza, poi, sul litorale, di residenti provenienti da più parti (hinterland napoletano, agro aversano, ecc…), espressione di varia cultura, rendeva più difficile un comune sentire. Anche perché molti erano di estrazione sociale disagiata, complicata, piena di rabbia antica da scaricare.

Lo Stato, allora come oggi, non aveva una politica chiara sull’immigrazione: non c’erano controlli sui flussi, scambi, né accordi internazionali. Al contrario, si palesava – come ancora oggi accade – una evidente doppiezza, in virtù della quale si chiudeva un occhio, per fornire manodopera a basso prezzo alle industrie, ai cantieri, ai piccoli operatori e ai singoli cittadini. Ma senza preoccuparsi degli aspetti sociali, degli alloggi, dell’impatto con le popolazioni, del numero che andava indiscriminatamente a stabilirsi in una località.

In questo modo le intemperanze e gli scontri sviluppatisi nelle varie località del sud, ancorchè variamente motivati, potevano – e possono – essere duri e cruenti, e ripetersi all’infinito, ma non trovano soluzioni, se al Governo non c’è una linea chiara. E’ noto che agli inizi i neri erano ricercatissimi nei nostri cantieri edili. La crisi del settore li disperse in altre attività. Lo spaccio della droga e la prostituzione assorbì i più diseredati, e la camorra li sfruttò senza controllo, fino a quando non fu costretta a scendere a patti con le loro organizzazioni mafiose. Storia nota e già raccontata da me stesso, e che giova ripetere ai giovani.

Con tutte queste premesse, occorreva – e occorre – avere equilibrio, favorire il dialogo al posto dello scontro, in attesa di una normativa equilibrata. Rispetto ad intemperanze spesso legate unicamente al colore della pelle, per me bisognava allontanare dal paese il sospetto di una cultura razzista. E ne avevo ragione. Infatti già nel consiglio comunale il centrodestra – l’attuale sindaco allora era all’opposizione – recuperando una linea maturata negli anni ottanta, proponeva una serie di iniziative risolutive per scoraggiare la presenza dei neri: roba da Ku klux klan, o peggio. Su queste proposte, c’erano scontri continui: da una parte il centrodestra, dall’altra la sinistra con alcuni democristiani. Tutto è registrato agli atti, ma ricordo vivamente i nomi dei proponenti. I quali, credo, se ne facciano anche un vanto. Perché ancora oggi c’è, nello schieramento di centrodestra, chi può vantare una lunga storia di incitamento alla violenza. Non a caso molte persone sono state già processate e condannate per odio razziale, reato ipotizzato per la prima volta per cittadini di Castelvolturno. Anni novanta: cortei deliranti, macchine bruciate, raid notturni, pestaggi, morti…

La maggioranza degli extracomunitari – ho sempre avuto contatti con i loro rappresentanti – mi chiedeva di essere salvaguardata dai criminali annidati fra di loro, per non essere tutti qualificati come delinquenti e per non offrire alibi ai loro persecutori. Nel difficile equilibrio tra solidarietà e repressione, mi toccò di murare tutte le aperture di un grande edificio (Fondazione Bianchi); di murare il ristorante Galeone, di sgomberare e murare un intero parco, nei pressi del Villaggio del sole; di murare numerose ville in Ischitella, Destra Volturno, Pescopagano… dove si nascondevano drogati e spacciatori. Esperienza unica in Italia. Ma fu possibile anche istituire presidi di legalità e assistenza per adulti e bambini.

Ebbi il sostegno del Ministero, delle organizzazioni umanitarie nazionali e locali, ma – di contrasto – un violento e duraturo attacco da parte del centrodestra (Forza Italia e AN), che così si preparava alle elezioni. Infatti la strumentalizzazione politica degli extracomunitari rendeva molto. Alla fine del 1997 il numero di 15.000 si ridusse a 3.000 e le cose migliorarono. Ma dovetti fronteggiare le lamentele dei commercianti che si videro ridotti i clienti. A distanza di anni, non ho alcuna remora a dire che ho sempre una pena nel cuore per le scene di violenza e di degrado umano alle quali ho assistito durante gli sgomberi. Poi fu eletto il centrodestra, e le cose peggiorarono. Così come sono oggi, con le stesse persone.

Un’amministrazione deve avere nel programma la gestione di un fenomeno di così alte dimensioni. Ma non può pensare di fare una lotta senza quartiere e di contravvenire ai principi della nostra Carta Costituzionale, che salvaguardano la dignità delle persone, di qualsiasi razza, cultura e religione. Un sindaco giura su questo! Perciò non si può vietare una stele con traballanti motivazioni e additare le varie associazioni del settore come speculatori immondi. Non si può, soprattutto, utilizzare l’Ente come strumento offensivo contro il diverso, incuranti dell’odio e della violenza che esso può legittimare, proprio perché proviene dall’autorità del comune. E non si possono assumere comportamenti che, solo come ipotesi, rischiano di mettere in pericolo la sicurezza e l’ordine pubblico. Una Procura attenta come nel passato, e le autorità competenti, non possono essere estranei a quanto sta accadendo a Castelvolturno. Anche se con la improvvida copertura del Consiglio comunale.

Il paese sta vivendo un periodo difficile per problemi interni, per una forte pressione della camorra, e per i riflessi della congiuntura economica nazionale. Ed è pure vero che non si può ospitare un numero imprecisato di extracomunitari, senza poterli minimamente controllare. Allora che si fa? Si semina odio e si minaccia un’altra Rosarno? Diciamo pure: un’altra Castelvolturno? Un conto è ricercare i mezzi idonei a governare il fenomeno (problema tra i tanti problemi!), un altro è illudere la gente che sia questa la strada per il nostro ordinato sviluppo. E poiché così non è, appare evidente come tutto sia finalizzato a distrarre l’opinione pubblica dai tanti problemi politici. E anche da situazioni personali irrisolte e inaccettabili.

Nella cattiva politica è sempre la mistificazione che si fa strada al posto della verità. Sicché i neri, che nelle seconde case – che non hanno voluto loro – hanno trovato un provvisorio e oneroso ricovero, sono la fonte di tutti i mali. Anche di chi evade le tasse. E così – con un artificio illogico – vengono indicati addirittura come causa anche di tanti problemi pregressi, con i quali, ovviamente, non hanno nessun legame (carenza di Pianificazione, problemi demaniali, inquinamento del mare, del fiume, del lago, delle acque di falda, erosione, abusivismo edilizio e commerciale, emergenza rifiuti, malasanità…). Su questo fronte, è silenzio assoluto e la gente pensa ad altro. Tutto va addebitato ad un indistinto passato, che non passa mai. A favore del nuovo, che nemmeno avanza.

Non è vero che l’amministrazione rappresenti l’intero paese, non è stato mai così. Allora, è necessario che tutte le persone realmente democratiche e dissenzienti da questa ingiusta e unica rappresentazione della nostra comunità e della nostra cultura, si dissocino, facciano sentire in tutte le sedi – anche giudiziarie – la loro voce. Perché si sappia che a Castelvolturno non è morta né la solidarietà né la volontà di risolvere i problemi – a partire da quelli dell’immigrazione – nel rispetto delle regole e senza odio. E che un Comune della Repubblica non può diventare il megafono della violenza.


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