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Così la politica ha aiutato il clan dei Casalesi
04 Giu 2014 05:41

Le sconvolgenti dichiarazioni di Antonio Iovine, capo del clan dei Casalesi che da qualche settimana collabora con la giustizia, impongono una seria riflessione del Parlamento sulle cause che hanno determinato il radicamento della camorra in Campania ma, soprattutto, sulla qualità degli strumenti repressivi necessari a stroncare alla radice il fenomeno.

Iovine, raccontando i rapporti con gli esponenti della politica e dell’imprenditoria, descrive un sistema ben più complesso del semplice clan, così come lo abbiamo conosciuto e visto rappresentare nei processi di associazione mafiosa.

E’ appunto, un sistema nel quale le tre categorie camminano autonomamente e si sostengono a vicenda anche grazie alla corruzione e alla degradazione profonda della macchina burocratica.

Antonio Iovine, ammettendo le sue responsabilità, ha richiamato lo Stato alle sue, accusandolo di aver agevolato con comportamenti omissivi il proliferare di quel sistema, talmente rodato da funzionare anche in assenza dei capiclan.

Il capo dei Casalesi ha confermato quindi lo scenario che il pm Antonello Ardituro aveva delineato nella requisitoria del processo a carico di politici, come Nicola Ferraro, e di imprenditori coinvolti nei vari filoni d’indagine sui rapporti tra politica e camorra nel Casertano.

Cioè, dell’esistenza di uno scacchiere congiunto nel quale i soggetti coinvolti si muovono senza distinzioni di provenienza partitica e nel sistematico conflitto d’interesse tra imprenditori e politici alimentato dal ricorso al voto di scambio garantito dalla camorra e dagli appalti affidati al sistema della rotazione tra imprese.

Una struttura così complessa,nella quale la violenza assume un ruolo marginale o è del tutto assente, sfugge alle categorie del nostro codice penale, rappresentando invece la mafia del terzo millennio.


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