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Il delitto senza cadavere e la condanna degli amanti di Larino
22 Mag 2013 13:28

Come si è arrivati alla sentenza di condanna per Anna Vincelli e Domenico Ciarlitto, anche se il cadavere non è mai stato ritrovato? Il processo, che gli esperti definiscono “indiziario” proprio perché il corpo di Nicola Di Paolo non si è mai trovato, ha gettato e messo le basi, sugli spostamenti della moglie Anna Vincelli e del suo amante Domenico Ciarlitto, condannato a un anno per favoreggiamento. Innanzitutto gli inquirenti, e questo è bene ricordarlo, sono arrivati ad indagare sui due dopo un po’ di tempo dalla scomparsa perché in città era passata l’idea che, con ogni probabilità il Di Paolo si fosse allontanato da solo.

Ma Larino è una piccola cittadina e le voci corrono veloci, fin quando anche gli inquirenti hanno iniziato a sospettare che forse il Di Paolo proprio da solo o per sua volontà non si fosse allontanato, anche perché quello che emerge dal processo, è il profilo di una sorta di padre padrone, di uno che ci tiene talmente tanto alla sua famiglia che ne diventa proprietario come dice l’avvocato di parte civile Gaetano Caterina “una persona gelosa e possessiva che proprio per questi suoi atteggiamenti fu denunciato da una delle figlie per maltrattamenti”. E proprio da questo nascono i dubbi sulla sua scomparsa, scomparsa alla quale adesso non credono nemmeno i giudici dei due gradi di giudizio, e proprio su questo si è basata la requisitoria del Procuratore Generale di Campobasso Di Ruzza, il quale nel suo discorso durato tre quarti d’ora ha più volte rimarcato quest’ aspetto caratteriale del Di Paolo, e a conferma di tutto questo c’è l’episodio, surreale direi, delle intercettazioni telefoniche.

La scomparsa

Nicola Di Paolo, muratore di Larino, scompare nel nulla la sera del 20 luglio del 2007, una sera d’estate caldissima e, come succede in provincia, monotona, in strada non c’è nessuno, e balconi e finestre sono aperti per entrare quel po’ di frescura che la serata estiva può offrire. Nicola è sposato da anni con Anna Vincelli, una storia la loro, costellata di difficoltà economiche, litigi, allontanamenti affettivi, riavvicinamenti. Insomma una vita matrimoniale non semplice, il muratore larinese quella sera si reca con la moglie in un appartamento ereditato dalla datrice di lavoro della stessa, un bell’appartamento in pieno centro a pochi passi dall’Ospedale e dal Tribunale, una svolta, la ritiene l’operaio, che gli fa anche esclamare “finalmente possiamo fare una vacanza”, perché insieme all’appartamento la moglie eredita anche una somma in denaro a loro disposizione.

Uno che pensa ad una vacanza con moglie e figlie, può allo stesso tempo pensare di sparire dalla circolazione senza lasciare tracce? Solo che non sa, o forse sa e non lo dice, che la moglie nel frattempo ha conosciuto un inserviente dell’Ospedale di Larino, con il quale inizia una storia clandestina, i due sono talmente vicini che soprattutto le amiche della Vincelli ne sono a conoscenza. Per questo, come vedremo in seguito, il marito, Nicola Di Paolo, a un certo punto diventa un ostacolo, il padre delle figlie della Vincelli, non ha più posto nella sua vita.

La Vincelli parla con l’amante mentre il marito è in casa

Sia l’avvocato Caterina sia il Procuratore Di Ruzza hanno incardinato le loro arringhe su un fatto che desta sinceramente non poche perplessità. Innanzitutto, la Vincelli è l’ultima persona che ha visto il Di Paolo vivo, e questo è accertato, la sera del 20 luglio del 2007, infatti, i due litigano nella loro casa popolare in via San Michele, a pochissimi passi dall’abitazione dei genitori di Nicola, tanto è vero che i due poi si ritrovano a casa del papà del Di Paolo, dove continuano con l’alterco, fin quando si calmano e decidono, insieme di raggiungere l’appartamento ricevuto in eredità dalla signora dove la Vincelli aveva lavorato per molto tempo, un bell’appartamento dicono i legali, e una discreta somma di denaro, ma su questo ci torneremo in seguito.

Arrivati in questo appartamento i due, vengono visti da un testimone, anzi sentiti più che altro, ma non litigavano, avevano semplicemente lo stereo ad alto volume, i due come ha detto in aula l’avvocato della Vincelli, Michele Urbano “erano in armonia, l’alterco era rientrato, e stavano in quell’appartamento in armonia, sono stati visti sul balcone, ad un certo punto – continua Urbano – sempre il testimone ascoltato in primo grado, ha visto abbassarsi due tapparelle quasi nello stesso momento, anche questo segno – dice Urbano – che i due avevano deciso, abbassando le tapparelle, di estraniarsi dal mondo”. Ma, è qui che nascono i primi dubbi, infatti, come accertato in seguito, la Vincelli aveva spostato gli orari indietro di un’ora rispetto all’avvenimento.

In quel periodo, dalle 22 e 30 di quella sera insomma, la Vincelli ha un continuo scambio di telefonate e sms con il suo amante, qui nasce il primo dubbio, ovvero, se è vero che Di Paolo è sempre stato definito “geloso e possessivo” e che, stando alle sua parole qualche anno prima “sarai mia o di nessun’altro” disse alla moglie, appare quanto meno strano che in sua presenza la moglie parlasse, seppure in un’altra stanza, con il suo amante, passi per gli sms, ma le telefonate sarebbero state francamente difficili, delle due l’una allora, o il Di Paolo era già stato messo fuori gioco, oppure gli orari non tornano. Infatti, come poi hanno accertato gli inquirenti, la Vincelli e il Ciarlitto, comunicavano tra di loro con due schede telefoniche della cui esistenza sapevano solo loro, per cui o la Vincelli aveva due telefonini, uno celato al marito chiaramente, oppure doveva cambiare ogni volta scheda al suo telefonino, circostanza questa che risulterebbe difficile in presenza della persona alla quale si vuole tener nascosto il tradimento. L’altro mistero sul quale si è discusso tantissimo è la famosa telefonata che partì da una cabina telefonica pubblica nelle vicinanze della casa in via Mazzini, ebbene, secondo i tabulati telefonici quella stessa sera, il Ciarlitto si trovava a Larino, infatti, la cella telefonica agganciò qui il suo telefonino, fatto contestato dall’avvocato Urbano, il quale sostiene che una stessa cella telefonica può abbracciare località molto distanti tra di loro, ma vediamo i fatti emersi.

Secondo il Procuratore Generale Di Ruzza e l’avvocato Caterina, la telefonata partita da quella cabina altro non è che l’ennesima messa in scena dei due amanti, e cioè, la Vincelli ha sempre sostenuto che il marito, Di Paolo, ad un certo punto ha ricevuto una telefonata, e le avrebbe detto “esco un attimo, torno subito”, secondo le parti civili, la telefonata è stata fatta dal Ciarlitto proprio per depistare le successive indagini, tanto è vero che, come già detto, il Ciarlitto si trovava a Larino quella sera, stando sempre ai tabulati telefonici, anche perché quella sera i due amanti hanno avuto una telefonata durata all’incirca un’ora. Ma la cosa inquietante, stando alla ricostruzione sempre della parte civile, è che, appena il Di Paolo sarebbe uscito di casa, i telefoni, sia della Vincelli che del Cirlitto si ammutoliscono, di colpo i due non sentono più l’esigenza di comunicare. Che cosa è successo veramente in quell’appartamento quella notte? E soprattutto chi c’era in casa?

Un delitto efferato

Queste le parole usate dal Procuratore Di Ruzza, ma perché fa queste affermazioni? Secondo Di Ruzza la Vincelli ha costellato la storia della scomparsa del marito, di “gravi menzogne”, infatti, sempre secondo Di Ruzza, il Di Paolo “non uscirà mai vivo, e mai da solo da quell’appartamento”. Tanto è vero che la stessa Vincelli, secondo Di Ruzza, ha mentito da subito anche sugli orari che li hanno portati in quella casa, “e, la risposta – dice di Ruzza – non può essere che una, e cioè la Vincelli è responsabile dell’omicidio del marito.

Ma sono anche i comportamenti successivi che aggiungono dubbi sulla verità della Vincelli. Non solo, la stessa Vincelli dice che dopo che il marito è uscito lei si è addormentata e quando si sveglia si reca a casa sua, in via San Michele dove torna a dormire, ma anche in questo caso, dice Di Ruzza, ci sono telefonate, che durano fin quasi al mattino successivo. Intanto sempre il mattino successivo, la Vincelli non allarma ancora nessuno della scomparsa del marito, tanto è vero che va anche a casa del suocero, e nemmeno ai genitori del Di Paolo dice nulla, e non risultano nemmeno telefonate ad amici e parenti per capire dove fosse finito il marito, che lo ricordiamo, è da sempre stato definito come un “geloso e possessivo”, e su questo, una spiegazione la da l’avvocato Caterina, “Di Paolo era un abitudinario, ed essendo appunto geloso, la sera tornava sempre a casa abbastanza presto, anche perché, come succede nei nostri piccoli centri, e cioè, che il capo famiglia crede di esserne il padrone, per cui Di Paolo, doveva rientrare la sera anche per controllare l’andamento della famiglia”. Per questo motivo gli inquirenti non credono alla sparizione volontaria del Di Paolo, ma soprattutto, è strano, che avendo queste abitudini il marito, la Vincelli non abbia da subito denunciato a nessuno il fatto che il marito non fosse rientrato dalla sera prima. E ancora, la stessa Vincelli istruisce una serie di persone a lei vicino, soprattutto le figlie, sulla versione da dare agli inquirenti, quando ormai i due amanti avevano capito che gli inquirenti gli avevano messo gli occhi addosso, e proprio in un’intercettazione ambientale nella macchina di Francesco Rotella, genero della Vincelli, le figlie vengono istruite su ciò che dovranno dire agli investigatori, una pratica “reiterata – dice Caterina – atta solo a fornire falso materiale alle indagini, visto che i due amanti ormai avevano capito di essere, in qualche modo, controllati dagli inquirenti”.

Un marito ingombrante

Ma quale potrebbe essere il movente per un “delitto efferato” come lo definisce il Procuratore Di Ruzza? Sicuramente Di Paolo era diventato troppo ingombrante. Bisogna dire, a onor del vero, la vita matrimoniale dei due non è stata un idillio, o meglio, sia per il carattere del Di Paolo che per la precarietà lavorativa, la coppia spesso litigava e i soldi non bastavano mai. Alla morte della signora dove la Vincelli lavorava, eredita sia l’appartamento che una somma in denaro, che l’avvocato Urbano quantifica in poche decine di migliaia di euro, che “non sono bastati nemmeno a pagare la tassa di successione dello stesso”.

Non sono dello stesso avviso però né Di Ruzza né l’avvocato Caterina, che vedono nella possibilità di un riscatto sociale della Vincelli, il movente dell’omicidio. Anche perché, in base a queste prove, dice l’avvocato Caterina. Il Di Paolo non aveva nessun motivo di allontanarsi da solo. Cosa si nasconde dunque questo “efferato omicidio” per dirlo con Di Ruzza? Chi sa e non parla? Ma soprattutto, dov’è il Di Paolo o il suo cadavere? Domande che forse non troveranno una risposta, ma una parola “fine”, per il momento l’ha messa la Corte di Appello di Campobasso.


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